Come la minoranza del Pd ha dimenticato cosa significa la parola libertà
Cari Bersani e Cuperlo, cari Vendola e Fassina. Sono ritornato in parlamento dopo dodici anni, nel 2013, e da allora ho subito una singolare deriva movimentista: una sorta di estremismo senile, tutto contenutistico e sostanzialistico. Una sindrome ‘cosistica’ del tutto indifferente alla logica degli schieramenti e della tradizionale toponomastica della sinistra nelle sue diverse articolazioni. Questo mi ha portato a una deformazione della prospettiva. E` quest`alterazione dello sguardo (per altro assai fioco, com`è noto) che voglio subito dichiarare affinché non venga utilizzata come pregiudizio nei confronti dei miei argomenti, dei quali sono il primo a riconoscere l`unilateralità. Insomma, sono consapevole della mia deviazione ma, prima di rinunciarvi, voglio esporre le ragioni che l`hanno determinata. Ho sostenuto con la massima convinzione tutti gli emendamenti della minoranza del Pd (e alcuni di Sel) su articolo 18 e Jobs Act e quelli sulla legge elettorale. Ho fatto quello che considero il mio elementare dovere, ma senza alcun entusiasmo e senza sentirmi parte, per questo, della cosiddetta minoranza o sinistra del Pd e di quel movimento che si starebbe organizzando dentro e ‘alla sinistra’ di quel partito. Ovvero dissidenti democratici, Sinistra ecologia e libertà, pezzi di 5 stelle, componenti di quella che fu la lista ‘L`altra Europa per Tsipras’. Per quanto mi riguarda, non mi riconosco in queste prove di aggregazione e non vi partecipo essenzialmente per due ragioni. La prima è che nei comportamenti, innanzitutto parlamentari, di questi soggetti vedo prevalere politicismo e tatticismo. Non mi riferisco solo al nevrotico tic di alludere quotidianamente a una scissione prèt à porter del Pd, smentita prima che il gallo canti tre volte. Mi riferisco piuttosto a una tattica sulla legge elettorale a dir poco bizzarra (quale quella che ha portato la minoranza del Pd a votare in un modo alla Camera e in un altro al Senato); e al fatto che, nell`iter al Senato, il meccanismo delle preferenze si sia trasformato in una sorta di Stalingrado o, se preferite, di Fort Alamo: fulgido simbolo della democrazia partecipata e del protagonismo politico. Sia chiaro: non sottovaluto i risultati ottenuti sul piano parlamentare e, tantomeno, il voto per l`elezione del nuovo capo dello stato e il conseguente movimento che ha attraversato e modificato il quadro politico. Ma noto che tutto ciò continua a riguardare solo marginalmente la questione che, per me, costituisce la vera posta in gioco dell`attuale fase politica e dei suoi mille affanni. Mi spiego. In due anni di parlamento, ho cercato di fare ciò che considero il mio onesto lavoro di uomo di sinistra: e questo lavoro non sembra aver interessato in alcun modo quella che si definisce e viene definita la sinistra. Non c`è dubbio che, da sempre, le sinistre sono più di una, e le interpretazioni di ciò che è sinistra sono ancora più numerose. Di conseguenza, mi limito a constatare che la sinistra e le sinistre non sembrano volersi qualificare per quelle questioni e per quelle battaglie che io considero inequivocabilmente di sinistra. Grazie al cielo, le eccezioni non sono affatto rare, ma restano appunto eccezioni rispetto a una tendenza prevalente, che va in tutt`altra direzione (appunto politicista e tatticista). Va da sé: è possibile che sia io a sbagliare e ad avere, come ho anticipato, una visione deformata delle cose. Per questa ragione, provo a stilare un elenco di problematiche che segnano, a mio avviso, una netta linea di demarcazione dello spazio politico e che non vedono la sinistra parlamentare, per così dire, particolarmente interessata: e faccio questo perché mi si possa eventualmente smentire e si possa argomentare come sia io a sbagliare collocazione. Ciascuna di quelle problematiche qualificanti la frattura destra/sinistra può essere definita col nome di una forma di libertà. Libertà di lavoro (dove quel di richiama tutte le contraddizioni e i conflitti del rapporto o del mancato rapporto con il lavoro dipendente). Qui, la sinistra parlamentare, qualcosa ha fatto. Libertà personale (carcere, centri di identificazione e di espulsione, ospedali psichiatrici giudiziari, trattamento sanitario obbligatorio) come tutela rigorosa dell`habeas corpus contro ogni abuso. Libertà di autodeterminazione (fine vita, scelte di cura, fecondazione assistita, genitorialità, unioni civili) come affermazione di sovranità su di sé e sul proprio corpo. Ebbene, su tali questioni, la sinistra e le sinistre, specie quelle parlamentari, sembrano o del tutto indifferenti o, nel migliore dei casi, riottose. Eppure a me risultano tutte problematiche limpidamente e inequivocabilmente di sinistra. Due esempi sono particolarmente illuminanti. Sulla questione dell`immigrazione e dell`asilo, che mi sembra roba di sinistra, mai sono stato chiamato a una battaglia parlamentare, a una mobilitazione collettiva, a un conflitto politico. E nemmeno a una qualunque iniziativa fuori dalle sedi istituzionali. E così ci siamo dovuti arrangiare come potevamo e sapevamo e abbiamo realizzato un`accurata indagine sui centri di identificazione ed espulsione; e, grazie a un emendamento, abbiamo ottenuto che la permanenza degli stranieri in quei luoghi orribili venisse ridotta da 18 mesi a 90 giorni. Ma si pensi ancora alla ‘questione Rom’, la più ‘intrattabile’, scivolosa e imbarazzante. Non pretendo che diventi prioritaria e nemmeno centrale nell`agenda politica, ma propongo qualche osservazione. Questa minoranza ha ormai assunto, nell`agitarsi del torvo rancore nazionale, il ruolo di principale capro espiatorio, oggetto di aggressiva stigmatizzazione e di diffusa ostilità. E a opporvisi sono, appena, i radicali, qualche associazione e alcuni intellettuali come Moni Ovadia, Lerner e Santino Spinelli. D`altra parte, consentire la criminalizzazione della minoranza rom agevola la criminalizzazione di tutte le minoranze. Non sarebbe una bella e appassionante battaglia di sinistra provare a impedirlo?

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