La settimana scorsa il Senato ha approvato un emendamento al disegno di legge in materia di sanzioni penali, che delega il governo ad «abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall`articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell`immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia». Parafrasando: se non è stato adottato alcun provvedimento di allontanamento nei confronti di una persona straniera presente in Italia, l`irregolarità di soggiorno non ha rilievo penale. Se invece un tale provvedimento c`è, non decadono i reati attualmente previsti.
Nell`emendamento viene riaffermato il concetto per cui il reato di immigrazione irregolare è, di fatto, un «illecito amministrativo» che incrimina qualunque tipo di ingresso e soggiorno irregolare. La sanzione penale è prevista per le ipotesi di reingresso dopo un ordine di espulsione. Ciò, in teoria, potrebbe ancora contrastare la Direttiva Rimpatri 2008/115/CE, da cui derivava la sentenza El Dridi (C-61/11/PPU del 28 aprile 2011), perché non garantisce un`esecuzione più rapida dell`espulsione ma pare piuttosto finalizzata ad infliggere una pena.
Nella sentenza El Dridi, la Corte sosteneva che «gli stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all`insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all`allontanamento coattivo una pena detentiva, come quella prevista dall`art. 14, comma 5 ter del d.lgs 286/98, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale».
Ecco perché quella sentenza, non permettendo l`ingresso in carcere a chi non aveva ottemperato all`ordine di allontanamento, si è rivelata un intervento assai significativo dal punto di vista della criminalizzazione degli stranieri.
L`abolizione del reato di clandestinità nonostante le criticità appena rilevate, incide profondamente nel cambiamento dell`opinione pubblica su questo tema. Fino ad ora, l`esistenza di quel reato aveva proprio costituito la «giustificazione» della sopravvivenza dei Cie: se lo straniero rappresenta una minaccia sociale e un pericolo per l`incolumità e la sicurezza dei cittadini, essi vanno «contenuti», classificati come criminali, reclusi. Nei Cie, appunto.
Nel corso del 2013, quei centri hanno subito un`accelerata decadenza, rivelandosi inefficaci rispetto allo scopo prioritario (appena quattro su dieci dei trattenuti vengono effettivamente espulsi), troppo onerosi e gravemente lesivi della dignità umana. Sembra che si vada verso un loro tacito esaurimento (già chiusi o in via di chiusura quello di Crotone, Bologna, Gradisca, Modena, Milano e Bari), che pure non ne annulla l`attuale funzione di abbruttimento della persona e di mortificazione dei suoi diritti.
Ciò dimostra quanto ci sia ancora da fare.

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