Gentili Colleghi Senatori,
nei prossimi giorni tornerà in Aula il progetto di legge contro il negazionismo (Ddl n. 54). Nell’attuale formulazione approvata dalla Commissione Giustizia si punisce “chiunque nega l’esistenza di crimini di guerra o di genocidio o contro l’umanità” con la reclusione da 1 a 5 anni.
Come storico e come senatore vi invito a riflettere sull’errore che si commetterebbe nell’approvare questa proposta di legge che giudico inutile e contro producente. Auspico pertanto che il testo possa essere rimandato in Commissione Giustizia per un’ulteriore riflessione che preveda anche l’audizione delle principali associazioni storiche e giuridiche che hanno chiesto in queste ore di essere ricevute dal Presidente del Senato.

Le ragioni del dissenso


1) Il testo introduce un reato di opinione (per quanto così sfumato rispetto al Ddl originario
da risultare inapplicabile) in contrasto con la libertà di espressione sancita dall’articolo 21 della
Costituzione e con l’evoluzione del moderno diritto penale che tende a limitarlo il più possibile. I
pur apprezzabili sforzi compiuti dalla Commissione Giustizia in questi mesi purtroppo non sono
riusciti a sciogliere questo nodo centrale.

2) Il testo pretende di imporre per legge una valutazione storiografica e rischia così di alimentare un circuito vizioso di stampo grettamente ideologico e nazionalistico. Si pensi a quanto è avvenuto in Francia con la legge antinegazionista sul presunto genocidio degli Armeni, a cui ha prontamente risposto la Turchia con un analogo provvedimento riguardante il presunto genocidio degli algerini da parte dei francesi. Si registra in questo modo lo slittamento concettuale dalla punizione della negazione della realtà di un fatto storico alla repressione della negazione di una certa interpretazione di un fatto storico. Il primo caso riguarda il negazionismo per antonomasia, quello dello sterminio nazista degli Ebrei (Shoah), di cui proprio oggi si celebra il Giorno della memoria; il secondo aspetto concerne un gran numero di vicende storiche, dallo sterminio dei nativi americani in età moderna, agli effetti del colonialismo belga in Congo, alla sorte dei contadini ucraini sotto lo stalinismo, fino ai casi più recenti del Ruanda e della Bosnia, sulla cui determinazione come genocidi i giuristi e gli storici non concordano a causa dei limiti della definizione di questo reato formulato nel 1946 dall’Onu e ribadito nel 1998 della Corte penale internazionale.

3) In materia di passato storico si rischia di stabilire una “verità di Stato” che delegittima la verità storica che è sempre il prodotto di un dibattito critico. In questo modo si ottiene un risultato opposto a quello sperato perché si mina la fiducia nel libero confronto e nella libera ricerca storiografica e intellettuale. Tutte le volte che su un determinato fatto storico è stata imposta una verità di Stato (il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l’antifascismo nella DDR, ecc.) gli effetti sono stati negativi sul piano politico e civile.

4) Il testo radicalizza e amplifica un fenomeno sbagliato sul piano culturale, quello della cosiddetta “tribunalizzazione della storia”. Oggi l’unica cosa che viene chiesta alla storia pubblicamente (e dunque politicamente) è quella di giudicare e di condannare come se fosse un tribunale. Ma gli storici sanno che quanto più la storia condanna, tanto più rimuove e finisce per essere inutile.

5) La definizione del concetto di genocidio o di crimine di guerra è giuridicamente utile (esiste il tribunale dell’Aia al riguardo), ma inutile alla conoscenza storica che di quei giudizi penali appunto ne fa la storia, criticandone la variabilità e le contraddizioni. Si tratta di un tipo di giustizia per definizione “politica” che la parte vincitrice applica su quella vinta, quando riesce a portarla alla sbarra. Si riproducono così un’ipertrofia della penalizzazione e una supplenza della magistratura che possono soddisfare giudici e avvocati che vedono allargarsi il loro ambito di intervento, ma deprimono la funzione di intermediari civili non meno importanti quali gli insegnanti, i giornalisti, gli storici e i ricercatori.

6) L’introduzione del reato crea delle vittime che vi resistono e il processo che può conseguirne fornisce una straordinaria platea propagandistica ai sostenitori di tali idee. Questo lo dice l’esperienza, in tutti i Paesi dove il reato esiste. Inoltre, produce il paradosso che i negazionisti diventano “martiri del libero pensiero” e paladini della libertà di espressione: ciò è intollerabile perché questo convincimento si diffonde soprattutto a livello di massa, laddove è più difficile arginarlo.

7) Infine vi invito a considerare che un insegnante che negasse la realtà dello sterminio nazista degli Ebrei dovrebbe essere rimosso dal suo incarico per manifesta ignoranza, così come se sostenesse che il Terrore durante la Rivoluzione francese è un’invenzione della propaganda antigiacobina o che la terra è piatta. Si tratta infatti di affermazioni incompatibili con lo stato attuale della ricerca scientifica e di conseguenza con la professione docente. Ma se queste tesi presentassero anche caratteri di propaganda razzista e di incitamento alla violenza allora esse sono già perseguibili nel nostro ordinamento sulla base della Legge Mancino che recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, […] è punito:

a) con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;

b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Per l’insieme di queste ragioni la stragrande maggioranza delle associazioni degli storici italiani ed europei di ogni orientamento politico, ideologico, civile e religioso si sono pronunciate contro l’introduzione di questo nuovo reato. Al riguardo potete visitare il sito francese dell’Associazione “Liberté pour l’histoire” qui consultabile

Alcuni interventi (appelli, articoli e documenti)

Affinché possiate formarvi un libero convincimento accludo a questo messaggio i seguenti
materiali:

a) L’appello dell’Unione delle Camere penali qui consultabile
b) L’articolo di Renzo Gattegna, presidente delle Comunità ebraiche italiane, del 26 marzo 2011
uscito su “L’Osservatore romano” “Contro il negazionismo. Basta la cultura” qui consultabile
c) Il saggio dei giuristi E. Fronza, A. Gamberini, “Le ragioni che contrastano l’introduzione del
reato di negazionismo: i pensieri miserabili si combattono con i pensieri nobili” qui consultabile
d) L’appello del “Portale della rete degli Istituti per la storia della Resistenza e della società
contemporanea in Italia” qui consultabile
e) L’intervista allo storico di fama internazionale Carlo Ginzburg “Perché è un errore punire i
negazionisti” qui consultabile 

Mi scuso per la lunghezza del messaggio e vi ringrazio per l’attenzione, con viva cordialità


Miguel Gotor
Senatore Partito Democratico