I documenti al nostro esame ci richiamano con forza a porre l’attenzione sul tema di una crescente povertà quale possibile campanello d’allarme dell’insorgere di una grave crisi sociale nel nostro Paese.
Ieri lo stesso Presidente Letta, qui nell’Aula del Senato, nel corso del suo intervento di replica al dibattito sul prossimo Consiglio europeo, ci ha ricordato, e cito testualmente: ‘come frequentemente capita nelle società occidentali, chi è in condizioni di povertà estrema spesso e volentieri non è cittadino dell’arena politica’.
E nell’affrontare la questione della povertà in Italia occorre sicuramente partire dai drammatici dati dell’ISTAT che evidenziano come, alla fine del 2012, fossero quasi 15 milioni gli individui in condizione di deprivazione o disagio economico.
Un dato che rappresenta circa il 25% della popolazione italiana (40% al Sud).
In grave disagio, secondo l’ISTAT sono invece 8,6 milioni di persone, cioè il 14,3% del totale, con un’ incidenza più che raddoppiata in 2 anni (6,9% nel 2010).
La presa d’atto di questa situazione, confermata dai dati di Confcommercio, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, della Caritas e dell’Eurispes deve farci riflettere sulle cause profonde di questo fenomeno che non accenna a diminuire, ma che potrebbe ulteriormente aggravarsi senza precisi interventi correttivi nelle politiche redistributive.
Da questo punto di vista, sono stati sicuramente importanti gli interventi normativi che hanno portato all’aumento del Fondo nazionale per le politiche sociali di 300 milioni di euro attuati dall’ultima legge di stabilità e alla sperimentazione della nuova social card.
Tuttavia risulta difficile pensare di superare questa drammatica situazione senza comprendere le ragioni ad essa sottese; ragioni molto profonde e indicative di una vera e propria ‘crisi di sistema’.
L’Italia è insieme alla Grecia l’unico paese europeo dove ancora non esistono una politica unitaria di lotta alla povertà e un’ultima rete di protezione sociale per le famiglie al di sotto di una determinata condizione economica.
Come è noto, il premio Nobel Joseph Stiglitz, sostiene che quando le disuguaglianze crescono, s’innesca una spirale negativa e altresì rileva che nei Paesi dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri il prodotto interno lordo tende a decrescere.
Sempre secondo l’analisi di Stiglitz, e dello stesso Krugman, il problema principale di tutte le economie avanzate e altamente industrializzate è rappresentato dalla debolezza della ‘domanda aggregata’, cioè la domanda di beni e servizi espressa da un sistema economico nel suo complesso.
Tenuto conto poi del fatto che la porzione di reddito spesa per l’acquisto dei beni e servizi è, per forza di cose, maggiore nei redditi bassi, la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi è diventata un problema strutturale.
Se fare ripartire i consumi è fondamentale per far ripartire l’economia, ben si comprende l’importanza di adottare politiche che favoriscano una più equa distribuzione della ricchezza.
Da un recente studio commissionato dalla Ue, nell’ambito del VII Programma quadro, a un pool di gruppi di ricerca di diverse università europee, emerge che l’Italia è tra i paesi che registrano le maggiori disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito nell’Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei paesi Ocse.
Sempre da questo studio, emerge, inoltre, che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; così come il fatto che la ricchezza si sposta sempre più verso la popolazione più anziana, a scapito delle giovani generazioni.
I 30 paesi considerati nello studio sono stati classificati per macrogruppi, a seconda delle dinamiche registrate tra gli anni Ottanta e la prima decade del Duemila.
In questo quadro, l’Italia fa parte del gruppo dei paesi mediterranei nei quali si evidenziano livelli di disuguaglianza abbastanza alti.
Lo studio ha considerato, infine, gli effetti dei livelli di istruzione e delle dinamiche del mercato del lavoro sulla generazione della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, che a sua volta incide sui comportamenti sociali e politici.
La progressiva scolarizzazione nei paesi sviluppati, nell’arco dell’ultimo secolo, ha ridotto le disuguaglianze nei livelli di istruzione.
Ma questo non si è tradotto in una effettiva riduzione anche delle disuguaglianze nei redditi, in quanto è mutato profondamente il mercato del lavoro.
Si rileva, infatti, che i nuovi entrati nel mondo del lavoro sono certo più istruiti di un tempo, ma ora meno garantiti, e quindi meno in grado di risparmiare e, pertanto, di assicurare redditi da capitale e da proprietà.
E’ necessario perciò ripensare una politica redistributiva ai fini della crescita e dello stesso sviluppo economico e un sistema distributivo che vada al di là degli interventi congiunturali, in quanto ci troviamo di fronte, come detto, ad una profonda crisi di sistema, che deve essere aggredita e affrontata con politiche strutturali e con un vero e proprio cambio di paradigma rispetto al più recente passato.
Su questo crinale, credo, deve perciò muoversi ogni risposta italiana, ed anche europea, alla difficilissima fase che stiamo attraversando.
Da qui anche l’attesa per i prossimi possibili risultati dello stesso Consiglio europeo del 27, 28 giugno.
E per l’Italia è oltremodo necessario mettere mano con determinazione ad una radicale e sostanziale revisione della politica fiscale che sappia davvero incidere in modo efficace sul versante della redistribuzione della ricchezza, colpendo con maggiore determinazione in primo luogo la grave piaga dell’evasione e dell’elusione fiscale.
Da qui, ancora, la convinzione che, nell’ambito di una nuova politica fiscale , non possa essere messo da parte il tema di una più efficace ed equa tassazione delle proprietà immobiliari e mobiliari, a partire dai grandi patrimoni.
Si tratta, in buona sostanza, di dare attuazione davvero a quanto scritto al punto 5) della stessa risoluzione di maggioranza approvata ieri dal Senato, laddove si indica l’obiettivo di un trasferimento del carico fiscale ‘dalle persone alle cose, assicurando la neutralità del bilancio’.
Concludo, signor Presidente, auspicando che l’odierna discussione così come l’importante dibattito svoltosi ieri in quest’Aula possano contribuire a delineare ed attuare quegli interventi di politica economica e fiscale così tanto necessari al nostro Paese, evitando che la crisi possa ancora più accrescere le gravi diseguaglianze già così marcatamente presenti nella nostra società.
Chiedo, infine, al primo firmatario della mozione n.34 di poter aggiungere la mia firma.