I social sono nuove straordinarie autostrade per la conoscenza, le relazioni, la produzione, il consumo, l’interdipendenza delle culture e dei popoli che abitano il pianeta.

Come tutte le infrastrutture tecnologiche e sociali hanno regole e logiche di funzionamento, portano rischi e opportunità, influenzano i linguaggi di comunità, locali e globali.

Sono uno degli elementi centrali di quel mondo digitale che ormai sempre più viviamo ogni giorno, parte imponente di quel cambiamento costante di abitudini, comportamenti, modi di pensare e condividere che caratterizza le nostre società, con il suo portato di paure e spaesamenti continui.

E in un circolo che dobbiamo saper rendere virtuoso, il digitale è la più grande risorsa che abbiamo per affrontare le sfide sempre più complesse e in buona parte inedite che abbiamo di fronte. Basta guardare a questi ultimi mesi, a quanto il digitale sia stato centrale in ognuna delle risposte che abbiamo dato all’emergenza sanitaria e alle necessità di distanziamento fisico.

Didattica a distanza, per le scuole come per le università, smart working, possibilità di fare la spesa online, fino all’uso di algoritmi e super computer per analizzare i dati: siamo stati chiusi in casa e ci siamo accorti che il digitale era una risorsa primaria per non sentirci soli, per non perderci, per ritrovarci parte di qualcosa di più grande, per dare risposta all’innato senso di socialità e al bisogno di comunità e di conoscenza che caratterizza l’essere umano.

Certo, ci siamo accorti anche – per quanto fosse già evidente – che riguardo al digitale, come Paese, siamo ancora alla fase dell’opportunità.

Le disuguaglianze sono emerse taglienti, dividendo il paese tra chi aveva la fortuna di poter accedere a quelle opportunità e chi è stato tagliato fuori. Tra tantissimi casi di eccellenza, e tanti altri che si sono trovati senza connessione, device, servizi presenti sul proprio territorio.

Lo spazio digitale – e i social in particolare – è stato poi inquinato fortemente, anche in questi mesi di emergenza, da fenomeni di aggressività nei confronti degli altri, e dall’enorme e dannosa proliferazione e circolazione di fake news, che ha reso e rende ancora più difficile orientarsi tra ansie e paure.

Stiamo pian piano tornando a condividere spazi e occasioni di incontro, a riprendere relazioni fisiche, con cautela e rispetto delle norme di distanziamento, ma non dimentichiamoci di questi mesi. Scegliamo oggi di occuparci – come non abbiamo sufficientemente fatto in passato – di garantire la qualità democratica dell’innovazione digitale, in termini di accesso, competenza diffusa, opportunità, capacità di incidere sull’esercizio effettivo della cittadinanza e sulla sua qualità.

Il digitale caratterizza le nostre vite, in cosi tanti modi che non possiamo che considerarlo un fattore di cittadinanza e una priorità per il futuro di tutte e tutti.

Per fare questo non si può che partire dall’educazione, dall’istruzione, dalla scuola.

I primi passi sono stati compiuti negli scorsi anni, a partire dal Piano Nazionale Scuola Digitale che punta a innovare tutta la scuola puntando su connettività, infrastrutture, formazione ai docenti e didattica. Se aggiungiamo l’educazione al rispetto e alla parità di genere e l’educazione civica digitale – unico antidoto nel lungo periodo a fenomeni come fake news, cyberbullismo e hate speech, che passa anche per un uso educativo e un’educazione all’uso di smartphone altri device – abbiamo un percorso di innovazione della scuola già definito, su cui tornare ad investire con decisione, anche in prospettiva di quanto accadrà nei prossimi mesi.

Dobbiamo sapere che abitare il futuro richiede conoscenze e competenze, e che la prima disuguaglianza da superare è quella dell’accesso per tutte e tutti a percorsi di istruzione e formazione di qualità.

È il momento di riconoscere il valore della scuola, dell’università, dell’alta formazione artistica e musicale, della ricerca. È il momento di affermare – come scelta politica – che le competenze dei nostri giovani sono la più grande ricchezza che abbiamo e che investendo sulla scuola e sul capitale umano avviamo un circolo virtuoso che fa bene a tutto il Paese.

La filiera su cui puntare è allora quella che tiene insieme in modo indissolubile conoscenza e uguaglianza: diritto allo studio per tutte e tutti, possibilità di un lavoro di qualità e progetti di vita soddisfacenti, condivisione di politiche industriali innovative, competitive e inclusive, che mettono al centro proprio digitale, competenze e crescita sostenibile.

Spero davvero che una volta superata l’emergenza sapremo conservare la consapevolezza che tutto questo, insieme all’accesso alla rete come diritto non solo formale, ma fattore di uguaglianza, rappresenta una priorità politica decisiva. Per essere più forti, più competitivi, più pronti ad affrontare ciascuna e ciascuno le sfide di ogni giorno e tutte e tutti insieme quelle di domani, per cogliere la prossima opportunità come per superare la prossima crisi.

Per ritrovare sicurezze e radici smarrite, dare risposte a insoddisfazione e rabbia crescenti, rialzare argini contro la degenerazione del linguaggio, del confronto, dei fondamenti democratici. Per affrontare in modo nuovo le disuguaglianze di oggi, a partire da quelle di genere.

Non possiamo negare il rischio che gli effetti del cambiamento che ci ha investiti con tanta veemenza siano più negativi che positivi, che siano asimmetrici, che non andrà tutto bene. Le cose non andranno bene da sole, serviranno azioni precise e decise per dare al cambiamento la direzione che riteniamo più giusta e positiva. Il rischio, altrimenti, è che a subire l’impatto più negativo siano ancora una volta proprio le donne. Da un lato perché i settori che più a lungo subiranno la crisi (turismo, servizi) sono a forte occupazione femminile, dall’altro perché c’è il concreto pericolo che lo “stare a casa” – e poi lo smart working – si trasformino in un consolidamento di quegli stereotipi maschilisti che per troppo tempo hanno cristallizzato funzioni e compiti, per gli uomini e per le donne, nella società, nel lavoro e nella famiglia.

Un diverso equilibrio di valori e abitudini sociali potrebbe invece liberare energie e dare forza a quelli ambiti di impiego già a forte presenza di lavoratrici, come sanità, istruzione e servizi sociali e alla persona, che la pandemia ci indica come fondamentali e da implementare per garantire qualità della vita e benessere diffuso.

Digitale, educazione, accesso, conoscenza, uguaglianza, parità di genere: tutto si lega in una visione del mondo etica, rispettosa e innovativa, che credo sia quella che dobbiamo assumere sempre, nelle relazioni fisiche come in quelle social. Contrastando rischi e comportamenti violenti e discriminatori, disinformazione, violazione della privacy e sfruttamento dei dati: attraverso vigilanza certamente, e denuncia, ma soprattutto con atteggiamenti e comportamenti consapevoli e positivi, con l’ambizione di poter cosi contagiare sempre più persone a usare i social e non farsi usare da essi.


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