«Avevamo due ciambelle di salvataggio. Ma ora sono diventate due zavorre». Turismo ed export hanno trainato l`economia (e l`occupazione) della Toscana, ma non serviranno, a lungo, per ripartire dopo l`emergenza Covid. Occorre fare qualcosa di diverso, cambiare «radicalmente», evitando «di salvare aziende decotte» e puntando alla creazione di nuove imprese e lavoro, dice Tommaso Nannicini. Economista e senatore Pd, con Nannicini non si può partire che dall`analisi della situazione.
Senatore, la Toscana è la regione peggiore per consumi e produzione industriale. Non è un buon viatico per la ripartenza della Toscana.
«Non c`è dubbio che lo tsunami ha colpito prima di tutto un sistema Paese fragile rispetto agli altri Paesi, e non possiamo avere l`illusione che iniettando liquidità a pioggia si torni come prima».
Perché?
«Per noi, anche in Toscana, tornare come prima significa tornare a una stagnazione: l`Italia non cresce da decenni. Migliaia di giovani vanno all`estero a inseguire i loro sogni. Ora occorre ricostruire: dove c`erano case di cemento, basterà una riverniciata. Dove c`erano capanne fatte con canne di bambù, sarà necessario un doppio salto mortale: prima tenere duro nello tsunami, poi ricostruire. Il cambiamento è faticoso e la politica non può dire: c`è lo “Stato Mamma” e niente cambierà. No, deve dire: non ti lascerò solo ma ora cambia tutto».
In questo quadro c`è una specificità Toscana?
«La Toscana è parte del problema più generale di un sistema produttivo che aveva già difficoltà prima della crisi Covid ad agganciare le grandi trasformazioni tecnologiche ed ecologiche. Il nostro è un sistema imprenditoriale sottodimensionato e sottocapitalizzato, che già faticava e dopo faticherà di più: occorre, per un salto di qualità, investire su capitale umano, alta qualificazione, innovazione tecnologica. Dobbiamo fare in modo nuovo le cose belle che facciamo, e venderle in modo nuovo».
Dopo la crisi del 2008 abbiamo avuto export e turismo in crescita, con effetti anticiclici, anche dal punto di vista occupazionale. Adesso sono i due settori più colpiti.
«È la peculiarità di questa crisi: in quelle precedenti turismo ed export ci hanno tenuti in piedi. Le due ciambelle di salvataggio che avevamo sono diventato oggi due zavorre».
Dipende anche da questo il crollo dei consumi?
«Sì, dipende dalle aspettative. Il turismo è uno dei settori più incerti, può darsi pesi proprio questa incertezza sui consumi. L`altro punto di debolezza è la dimensione delle imprese: quelle piccole hanno aspettative più incerte».
Le parole del nuovo presidente di Confindustria Firenze Maurizio Bigazzi sullo smart working nella pubblica amministrazione hanno irritato, usando un eufemismo, i sindacati. E pure lei ne ha scritto.
«Tagliare gli stipendi ai pubblici dipendenti in smart working è una “non soluzione”. Serve ad agitare un nemico, i “fannulloni” di Brunetta. Ora non abbiamo bisogno di nemici ma di soluzioni che possono passare anche dallo smart working, ma non fatto all`amatriciana, bensì con una riorganizzazione sia nel pubblico che nel privato. Anche per capire come valutare la produttività. Guardiamo avanti, non indietro. Condivido invece l`appello del presidente nazionale di Confindustria Carlo Bonomi alla politica, che ha poca consapevolezza delle crisi occupazionali, perché la cassa integrazione fino a Natale non risolve nulla: dopo c`è la Befana».
Secondo lei in questo momento c`è bisogno di concertazione oppure di scelte che vengano invece applicate in velocità, anche dividendo il fronte delle parti sociali?
«Dipende da come imposti il dialogo sociale, di cui sono un grande fan. A Palazzo Chigi sono riuscito a fare un accordo con i sindacati nel mezzo della campagna referendaria… Ma il dialogo sociale non è spartirsi la manna che arriva dall`Europa, cioè concedere alle aziende la cassa integrazione e ai sindacati lo stop ai licenziamenti. Il lavoro non c`è e i giovani restano disoccupati. Abbiamo perso 400 mila occupati, principalmente precari e giovani, nonostante tutte queste norme. Occorre occuparci di chi un lavoro non ce l`ha e di chi il lavoro lo deve creare. La nostra ossessione deve essere aiutare le aziende a creare lavoro di qualità, ed aiutare chi cerca lavoro ad avere un reddito fino a che non lo trova. Come quando si faceva la politica dei redditi: tutti si assumevano i costi delle scelte, difficili».
Il suo partito sostiene Conte ma lei è stato critico anche nei confronti di diverse scelte prese dal governo dal punto di vista economico. Cosa manca in questa fase?

«Bisogna smettere di pensare che con i bonus a pioggia si risolva tutto, serve uno sguardo lungo su riforme che rinviamo da troppo tempo: istruzione, formazione, investimenti, ricerca, un welfare che dia un salario vero a chi cerca lavoro, riformare la macchina pubblica. Non si può “congelare tutto”. È inutile difendere posti di lavoro o aziende decotte, occorre creare nuovo lavoro. Aiutare le imprese a cambiare. E usare bene i soldi dall`Europa. Questo dibattito tutto italiano sulle condizioni del Mes è l`emblema di un`Italia che pensa all`Europa come a un bancomat. Siamo noi a dover dettare le condizioni, noi a offrire obiettivi, dalle scuole all`ambiente. Dopodiché i soldi arriveranno, ma dimostriamo che sapremo spenderli meglio. Non all`Europa, ma alle italiane e agli italiani».


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