«Siamo qui.. » . Qui, sul palco del Lingotto di Torino, dove ieri si è conclusa la convention dei sostenitori di Matteo Renzi alle primarie e al congresso nazionale del Pd. La serie di autorevoli interventi, nell`ultima delle tre giornate, è stata aperta dal senatore Luciano Pizzetti, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento del governo Gentiloni. Ad ascoltarlo, in platea, altri dem cremonesi: Alessia Manfredini, Luca Burgazzi ed Elena Bernardini (oltre alpresidente di Lgh Antonio Vivenzi) «Siamo qui, dopo vittorie e sconfitte, per superare limiti ed errori, per ridare corpo – ha esordito Pizzetti – a un progetto di trasformazione incisiva e inclusiva. Per aggiornare il profilo politico del Pd facendone la dorsale del sistema democratico riformato». Poi, la sferzata agli scissionisti: «La sinistra nasce per promuovere l`inclusione. Perciò è colpa grave dividere e scindere». A Bersani, Speranza e Rossi, Pizzetti, pur senza citarli espressamente, ha consigliato un libro di Norberto Bobbio, `Destra e sinistra`, «in cui quel, grande italiano metteva in luce le radicali differenze tra le due visioni socio-politiche. A chi si è separato da noi sarebbe utile una rilettura di quel testo per aggiornare la mappa. Per scoprire che, pur con evidenti errori, questo Pd non ha smarrito la strada. Anzi».
Dai nemici di Renzi a Renzi. Secondo Pizzetti, l`ex premier ha avuto il merito di «scrollare l`albero di una struttura paese invischiata da conservazione, caste, oligarchie» ma, allo stesso tempo, ha commesso alcuni sbagli. Compreso il fatto che «il referendum costituzionale è passato per il suo contrario: una compressione della partecipazione, anziché la sua valorizzazione. Un di meno, invece di„ un di più». Errori politici «che trovano origine nella ricerca di una relazione diretta tra leader e popolo, saltando tutto ciò che sta nel mezzo. Ma così il leader si fa popolo a caro prezzo. E il popolo non si fa nazione. Ciò che sta nel mezzo, spesso, ha generato concertazione. Oggi deve indurre partecipazione condivisione». E` per questo che «non basta un leader illuminato senza una comunità. Un corpo partecipe, non un`intendenza che segue. Convinto e, dunque, convincente. Un partito».
Bollato «il ritorno al proporzionale della Prima Repubblica» come «l`asfissia della democrazia che non fermerà i populismi», Pizzetti, convinto sostenitore del maggioritario, si è posto quella che ha chiamato «la domanda di fondo: «Al netto degli errori, l`azione riformista immaginata e perseguita in questo tempo è servita e serve al Paese? Io penso sia servita e serva moltissimo. Ed è la ragione
per cui persone come me sono qui e non altrove. Io che non sono mai transitato dalla Leopolda, credo si possa andare oltre il Lingotto». A una condizione: «Impedire che cali il sipario sul cambiamento del sistema politico-istituzionale. Questo luogo, ciò che ne uscirà in termini di progetto e di visione è oggi l`unico argine alla deriva. In questa resistenza, che è speranza, c`è voglia di futuro. C`è un`idea di partito e d`Italia. Non stiamo andando contro un muro, come molti commentatori ci dicono. Stiamo cercando di evitare che la breccia si chiuda. Ma serve coraggio e responsabilità verso il Paese, convinzione nei valori che ci hanno portato qui. Valori, non di ex e non di post, che incarnano le ragioni di un impegno che d accomuna».


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