«Per me Marchionne è stato un gigante: ha salvato la Fiat quando sembrava impossibile farlo. E ha creato posti di lavoro, non chiacchiere». L`ex premier Matteo Renzi è sempre stato un estimatore del top manager di Fca.
Che rapporto avevate?
«Di grande libertà: e questo ci ha permesso di dirci le cose in faccia, sempre. A me è servito molto per crescere. Se avevo dubbi su come approcciare i mercati globali, era uno a cui telefonavo per un consiglio».
Un rapporto che ha vissuto alti e bassi fin dall`inizio…
«È vero. Nel 2011 io dissi che nel referendum di Pomigliano avrei votato sì, e fui sommerso dalle critiche da sinistra: una parte di Pd lo identificava col “padrone”, ma il lavoro si crea con l`impresa, non con l`assistenzialismo. Un anno dopo, però, lamentai i ritardi del suo progetto: mi rispose che ero il sindaco di una piccola, povera città. Si scatenò mezza Firenze: fu costretto ad acquistare una pagina sulla Nazione per chiedere scusa. Me lo ha sempre rinfacciato divertito».
Da premier, lei andò a visitare gli stabilimenti Fca a Detroit.
«Sono stato anche a Melfi, Mirafiori, Cassino. E a Detroit, certo. So per esperienza diretta quanto Obama lo stimasse, ma non dimenticherò l`orgoglio dell`italiano che guida la Chrysler: mi ripeteva “si rende conto che questo è il più grande edificio d`America dopo il Pentagono?”. Ero con mia moglie Agnese, che di cognome fa Landini. Lui era in forte contrasto con l`omonimo capo della Fiom; prima di salutarci ci disse: “Ma non è che sua moglie è parente, vero?”».
Qualche mese fa però disse che «il Renzi che appoggiavo non l`ho visto da un po’ di tempo». C`è rimasto male?
«Il giudizio era ingeneroso, ma posso capirlo. La nostra campagna elettorale è stata totalmente sbagliata. Risposi solo con una dichiarazione pubblica: anche se lui aveva cambiato idea su di me, io non avevo cambiato idea su di lui».
Vi siete più risentiti dopo quella critica?
«Ha rotto il ghiaccio lui: quando sono andato a fare un`intervista da Fazio (quella con cui ha bloccato il tentativo di dialogo con il M5S, ndr.) mi ha scritto un messaggio, ormai si può dire: “Bravo, finalmente l`ho ritrovata. Lei si rimetta in gioco, e non molli.”».
Vi davate del lei?
«Certo. Il nostro era un rapporto professionale più che di amicizia personale».
Da leader Pd venne attaccato da sinistra per il suo rapporto con lui: si è mai pentito di non aver preso le distanze?
«E perché? Se l`Italia avesse avuto altri Marchionne oggi avremmo un`Alitalia competitiva o qualche banca italiana forte in giro per il mondo. Parte dell`odio contro di lui derivava dall`invidia. E sull`invidia per le persone di talento non si costruisce un Paese, come è ogni giorno più chiaro anche nell`Italia grillina».
Ammetterà che è stato un interlocutore ostico per i sindacati: con la Fiom ci fu uno scontro durissimo.
«La Fiom lo ha eletto a nemico, ma Marchionne è l`uomo che ha riaperto le fabbriche Fiat: se le fabbriche chiudono, non c`è lavoro né sindacato. A Detroit andava fiero della stima dei sindacalisti americani, come di quella di Fim e Uilm».
Ci sarà pure qualche critica, che magari gli ha fatto in privato…
«Certo, a cominciare dalla scelta dimettere la sede legale ad Amsterdam. Ci facevamo critiche a vicenda».
Marchionne a lei cosa ha rimproverato?
«Ad esempio si arrabbiò quando, nel 2015, feci un`operazione per tenere in Italia la produzione della Urus, il suv della Lamborghini, dando incentivi fiscali. Mi disse: “Per la Fiat questo lei non lo ha mai fatto”. Risposi: “Dottore, alla Fiat lo scomputiamo dal passato”…».
Quanto ha influito il suo rapporto con lui sul Jobs Act?
«Mi disse che il Jobs Act e la riforma delle popolari avrebbero riportato la fiducia dei mercati sull`Italia. Aveva ragione».
Che eredità lascia?
«Lascia aziende vive e forti. Non era scontato. Mi piace ricordare che senza gli accordi di Paolo Fresco con General Motors, Marchionne non avrebbe potuto fare le scelte che poi ha fatto: questo figlio di un carabiniere ha cambiato la storia industriale d`Italia, piaccia o meno ai suoi detrattori».


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