Caro direttore, bene ha fatto Paolo Mancuso, nel suo intervento sul provvedimento “salva-Napoli”, a rimarcare che il Partito democratico non è il partito della «burocrazia del fallimento», un`espressione davvero molto felice per ricordare che il Pd è stato fondato e vive per tenere insieme diritti sociali e responsabilità politica, sviluppo economico e progresso civile: nel Mezzogiorno e, quindi, nel Paese. E bene ha fatto a sottolineare che se c`è bisogno di un provvedimento di legge per regolarizzare la situazione finanziaria di quei comuni che avevano redatto i propri bilanci sulla base di norme incostituzionali, si tratta di “salvare” le città e non certo i loro amministratori. Il fatto è che proprio qui iniziano i problemi, perché è dal 2012 che lo Stato italiano prova a evitare a Napoli il dissesto finanziario e forse vale la pena ricapitolare rapidamente le opportunità avute in questi anni per sanare gradatamente i suoi conti. La prima è stata proprio l`introduzione della procedura cosiddetta di pre-dissesto, ovvero lo stato in cui si trova attualmente il Comune di Napoli. L`allora governo Monti (a proposito di governi formati da freddi burocrati) propose un nuovo istituto che offriva la possibilità a tutti i comuni che vivevano una fase di squilibrio finanziario di redigere e attuare un piano di risanamento in completa autonomia approfittando anche di un prestito dello Stato per superare la crisi di liquidità e pagare i fornitori senza decurtazioni. Successivamente, i governi Letta e Renzi vararono un ampio programma di anticipazioni di liquidità per velocizzare i pagamenti degli enti locali di cui il Comune di Napoli fu il principale beneficiario in Italia. Ovviamente tutte queste iniezioni di denaro fresco, che alla fine per Napoli raggiunsero la stratosferica cifra di quasi 1,5 miliardi di euro, erano progettate per dare la possibilità agli enti di riorganizzare le proprie strutture per poi camminare con le proprie gambe. La Regione Campania, ad esempio, ha usufruito anch`essa negli anni scorsi di anticipazioni di liquidità, ma paga tutt`oggi le fatture a 30-40 giorni, mentre il Comune di Napoli tornò rapidamente a tempi di pagamento a 2 e più, ma non mesi, anni. Non è finita qui. Nel 2017 governo Gentiloni – Napoli ebbe la possibilità di rimodulare i piani di riequilibrio finanziario in modo da diluire il disavanzo accertato in 20 anni anziché 10 perché nel frattempo l`ordinamento contabile era stato modificato. Purtroppo nessuno di questi provvedimenti ha raggiunto l`obiettivo di “salvare” Napoli. La sua amministrazione fallimentare, come riconosce anche Paolo Mancuso – non solo ha praticamente distrutto i servizi pubblici e la macchina organizzativa comunale con il sistema delle società partecipate, ma non ha neppure raggiunto uno solo degli obiettivi di risanamento finanziario su cui si era impegnata nell`ormai lontano 2013. C`è voluto invece il primo governo populista della storia della Repubblica per varare, nel 2018,1a prima vera norma “salva de Magistris”; con essa infatti si è intervenuti inopinatamente nel procedimento di controllo in corso da parte della Corte dei conti sul Comune di Napoli, di fatto invalidandolo. Mi permetto dunque di ribadire che la scommessa oggi è di nuovo salvare Napoli e non de Magistris, ricordando che per lo stato drammatico in cui versa la città la questione dissesto o non dissesto, per la vita dei napoletani, è ormai nominalistica. La vera sfida è liberare Napoli da chi la ha male amministrata in questi anni, continuando a sprecare opportunità e risorse ipotecando il futuro della città e quello di intere generazioni, permettendogli anche, semmai, di scaricare sul prossimo sindaco, con manovre dilatorie, l`onere politico del dissesto. La nostra bussola può e io credo debba restare una sola: chiudere questa sciagurata stagione di governo e costruire le condizioni, a partire da oggi, affinché qualunque opportunità sia pensata nell`interesse di Napoli e dei napoletani.


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