Mario Draghi in una riflessione articolata e lungimirante scrive riferendosi all’Europa che: «il costo dell’esitazione può essere irreversibile». Il modo in cui rispondiamo oggi all’emergenza e risponderemo domani nella ridefinizione del patto fondativo tra gli Stati che la compongono, ci dirà se il progetto europeo ha ancora ragione o se le spinte centripete avranno la meglio una volta per tutte. Dopo i tentativi di un approccio minimale o burocratico (concediamo qualche sforamento e appostiamo qualche risorsa) o in qualche caso inopinatamente speculativo (Christine Lagarde e lo spread) della tragedia italiana, il sentimento generale tra i paesi europei è parzialmente mutato. Vi hanno contribuito due grandi fattori: la risposta italiana ferma e politicamente serrata e la propagazione senza confini del virus in ogni parte d’Europa.

Ne è derivata un’azione combinata e straordinaria di Commissione e Banca Centrale di cui la capacità di acquisto di titoli per 750mld e la clausola di sospensione del Patto di Stabilità rappresentano i due principali, non unici, pilastri. Una potenza di fuoco importante, ma non sufficiente, per rispondere a un crollo rovinoso del Pil italiano ed europeo, in un quadro globale scoraggiante. Solo un vero coordinamento delle politiche economiche degli stati europei può fare la differenza. Ecco perché gli Eurobond possono rappresentare una vera svolta anche di natura politica, essenziale a ridare slancio non solo all’economia ma al progetto europeo, il segno che l’Europa affronta insieme questa catastrofe.

La messa in comune del debito resta l’obiettivo a lungo raggio di una Unione politica degna di questo nome, ma gli Eurobond possono rappresentare un primo passo verso un’integrazione qualitativamente più elevata. I tedeschi e i paesi germanofili, per i quali debito e colpa sono in realtà rappresentati dalla stessa parola, «schuld», ne sono stati per molti decenni i fieri avversari. Le parole dei banchieri centrali tedeschi e olandesi Weidman e Knot, «la crisi è una purificazione», quelle del premier olandese Rutte che parla di «default pilotato» rispetto all’Italia e alla Spagna o quelle non dissimili dell’austriaco Holzmann, sono semplicemente vergognose, anche perché ottusamente inconsapevoli della fase economica europea e internazionale.

Su questo punto, l’asse franco tedesco appare cedere platealmente, con la Francia che si schiera con l’Italia, la Spagna, il Portogallo, il Belgio, la Slovenia, la Grecia, l’Irlanda e il Lussemburgo sull’ipotesi «coronavirus bond», «solidarity bond»,«bond di scopo» o comunque li si chiami. Non è un punto indifferente ma su di esso rischia di consumarsi uno scontro epocale sulla idoneità dell’Unione a rispondere al gigantesco dramma in corso, persino sull’utilità stessa di una istituzione sovranazionale come quella europea. E nessuna mediazione al ribasso è possibile.

Non è accettabile immaginare dei bond che attraverso il Mes impongano all’Italia una condizionalità sulla sostenibilità del debito. Solo se questa crisi segnerà una svolta nell’identità dell’Unione potremo immaginare di superare davvero il guado, ritrovare prosperità, costruire un meccanismo di solidarietà efficace di fronte alle crisi che verranno. E per farlo serve un nuovo patto fondativo, la cui parola d’ordine sia sicurezza, nuovamente intesa, dal punto di vista sanitario, sociale, economico. La sicurezza come idea che i propri bisogni primari possano essere meglio assicurati da una collettività strutturata fu alla base della nascita della Comunità europea che mise in comune il carbone e l’acciaio, l’energia atomica e dipoi un mercato privo di dazi e con tariffe dogali comuni. Un antidoto alla guerra e un viatico di prosperità e pace.

Ma quanto fragile è l’architettura della casa comune europea lo scopriamo adesso nitidamente, quanto insicura nelle sue fondamenta. Abbiamo bisogno di un servizio sanitario comune, contrassegnato da standard europei indefettibili di qualità nell’assistenza, universale e pubblica e nella gestione delle emergenze. Abbiamo bisogno di un’Europa che faccia della prevenzione e della ricerca in materia di salute degli individui un suo obiettivo centrale, che disponga su scala continentale dell’autonomia piena nella produzione e nella distribuzione di presidi di protezione per la salute, di accertamento diagnostico, di cura farmacologica. Prevenzione, ricerca, cura come politiche comuni dotate di risorse importanti. Abbiamo bisogno di un’Europa che definisca obiettivi comuni di tutela del lavoro e che cresca negli investimenti nelle grandi infrastrutture materiali e immateriali, nelle energie alternative, nella banda larga, nella riconversione green, nell’istruzione e nei saperi. Abbiamo bisogno di una voce unica e determinata nelle grandi crisi internazionali.

E abbiamo una grande occasione già programmata per ricostruire dalle fondamenta la casa comune: la Convenzione europea. Un nuovo patto costituente, di rottura e slancio federalista verso il futuro. La riscrittura dei Trattati di una nuova Europa.


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