Domani, con il voto dei cittadini olandesi e britannici, avranno inizio le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Stavolta a sfidarsi sono due idee di Europa radicalmente alternative, due blocchi ben distinti che cercheranno la maggioranza dei seggi al Parlamento.
Da una parte i sovranisti, coloro che vogliono più potere agli Stati, e che effettivamente puntano a paralizzare l’Europa con poteri di veto incrociati. Sono gli amici della Russia, spesso pure finanziati da Mosca, come rivelato dall’incredibile scandalo che ha coinvolto il leader della FPÖ, Strache, alleato di Salvini.
Sono nemici non solo dell’Europa unita, ma dell’Italia stessa. La prima a perderci, in un’Europa paralizzata da veti incrociati, sarebbe infatti proprio l’Italia, già danneggiata in questi anni dai Paesi dell’Est che hanno bloccato ogni riforma delle politiche d’immigrazione e della regola del Paese del primo arrivo, e dai Paesi del Nord che continuano a osteggiare ogni riforma seria del bilancio europeo e un allentamento delle politiche di austerità, proprio mentre la Commissione e soprattutto il Parlamento europeo chiedevano riforme e solidarietà con l’Italia.
Dall’altra parte il blocco di centrosinistra, che fa perno sul Partito Socialista europeo, e che include i verdi, i liberali e le sinistre, che punta a riformare l’Europa senza stravolgerla, rinforzando il suo carattere sovranazionale e quindi la possibilità di legiferare anche senza l’unanimità fra gli Stati membri.
Un centrosinistra che riconosce che l’Unione europea ci ha dato tanto, e che l’Europa rimane uno dei posti migliori al mondo dove nascere grazie alla protezione sociale, all’attenzione all’ambiente, alla pace e alla sicurezza che vige nel Continente.
Ma sa anche che per rimanere rilevante l’Unione europea deve cambiare. Diventare più incisiva, solidale e inclusiva. Capace di aiutare gli Stati a garantire il welfare ai cittadini anche dinanzi alle due grandi sfide fondamentali che Lucrezia Reichlin ci ricorda sul Corriere della Sera, come il calo demografico, che unito all’allungamento dell’aspettativa di vita mette sotto forte pressione lo stato sociale, e la continua innovazione tecnologica che rende obsoleti certi lavori e inevitabile il continuo aggiornamento delle competenze dei lavoratori.
Un’Europa che solo unita può fare politiche efficaci per frenare e adattarsi al cambiamento climatico, per affrontare le cause dell’immigrazione alla radice, e per fronteggiare i giganti come la Cina, l’India, la Russia e gli Stati Uniti in un mondo sempre più multipolare, dove l’ala protettiva di Washington non è più scontata come una volta, e dove gli attacchi cibernetici e terroristici sono più probabili di un vero conflitto armato.
Un’Europa che non solo imponga quegli standard che ci permettono di usufruire del mercato unico, ma che elevi anche gli standard sociali, ambientali e climatici, perché la concorrenza sia leale e riconosca il valore del lavoro e del tempo libero di ogni persona, e il prezzo di ogni prodotto includa anche il costo ambientale per produrlo, riciclarlo e smaltirlo.
E un’Europa che investa, nelle persone e nel lavoro, con un bilancio ambizioso, da mille miliardi di euro, per investire nello sviluppo sostenibile ed eliminare la disoccupazione.
Nonostante alcuni irresponsabili ministri preferiscano distoglierne l’attenzione e parlano di Rosari e striscioni, in gioco questa settimana c’è tutto questo. Una maggioranza europea per il blocco progressista è possibile. Non è il momento di restare a casa.
Uscite, andate a votare e portatevi dietro familiari e amici. Dopo anni di frustrazioni e tentate Brexit, il 2019 può veramente essere ricordato come l’anno in cui riparte l’Europa.


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