Non sarà stata una sorpresa. La nuova presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen certamente conosceva i corridoi e le sale melliflue e ovattate del Lipsius, il palazzone che ospita il Consiglio europeo a Brussels.
È li, in quelle stanze silenziose e anonime che si sono quasi sempre diluiti e in fine smarriti i propositi ambiziosi e bellicosi di presidenti importanti come Jean-Claude luncker. Per non parliare di Josè Barroso…
La neo eletta Ursula è arrivata al suo primo Consiglio europeo, al cospetto dei capi di governo degli Stati membri, con un piano ambizioso: realizzare la transizione energetica, finanziaria un grande programma di investimenti verdi, incentivare la riduzione drastica delle emissioni di carbone, dare un profilo competitivo a un continente fiacco e sfiduciato, il profilo della economia verde piu avanzata del mondo.
Molti dei lettori ricorderanno il piano per la crescita e la competitività di Jacques Delors, al cui carico di ambiziosa lungimiranza avrà fatto riferimento il nuovo progetto della Von Der Leyen, affidato al coordinamento del mite e concreto Frans Timmermans, primo vice presidente. A mettersi di traverso immediatamente sono stati i Paesi del gruppo di Visegrad, in testa Ungheria e Polonia, gli stessi che impedirono alcuni anni fa di distribuire i richiedenti asilo in tutti i Paesi europei. Gli stessi che più hanno beneficiato dell’ingresso nella Ue con le ingenti risorse della coesione.
Il “ni” con cui si è concluso il Consiglio europeo dimostra quanto ancora siano forti le riserve e gli ostacoli da parte di alcuni Stati membri, in particolare quelli dell’Est. Ma ci conforta la determinazione con cui la nuova presidente Von der Leyen, sostenuta dal governo italiano, sia riuscita comunque a ottenere che nelle conclusioni approvate si delinei un percorso, ancor ché lento e compassato, che va nella direzione giusta e che sarà sottoposto a una prima verifica nel prossimo Consiglio europeo. Da qui ad allora ci sono però almeno tre questioni da sciogliere. Vediamole insieme.
1)Perché sia un piano vero e non uno slogan, c’è bisogno di un budget finanziario imponente. Non si fanno le nozze con i fichi secchi.
Gli investimenti devono farli gli Stati membri con la regia dell’Unione europea? In questo caso bisogna scorporarli, come giustamente dice il nostro Gentiloni dal Patto di stabilità.
Vanno fatti invece su una scala europea e con un impegno finanziario europeo e/o misto? E allora il bilancio europeo deve essere copiosamente arricchito con proventi derivanti dalla tassa sulle transazioni finanziarie, web tax, carbon tax ed eurobonds.
2)Non si tocchi la spesa agricola e quella dei fondi strutturali: servono risorse nuove e aggiuntive
3) Se il freno del blocco dell’Est alle decisioni più innovative come quella relativa al Green New Deal dovesse permanere, andrebbe aperta una riflessione sulle modalità previste dai Trattati per procedere con un nucleo ristretto, come quello della zona euro o dei Paesi che ci stanno.
Proprio l’insonorizzazione delle sale del Lipsius ha impedito nel passato di capire che il non decidere per l’Europa è stato un veleno, mentre per le forze antisistema, antieuropeiste e sovraniste, un balsamo decisivo e gratuito. [ governi pro Europa non traccheggino, non si guardino con gelosia, e in alleanza con Parlamento e Commissione europea, procedano.


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