Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’approvazione di un testo sulle unioni civili, e in particolare l’adozione di un istituto che sia l’unione tra persone dello stesso sesso, è diventata nel nostro Paese un’esigenza improrogabile.

Ultimo tra i Paesi civili dell’Europa, come ribadito più volte, in Italia manca ancora una legge a tutela di diritti che sono sia acquisiti da parte della giurisprudenza, che diffusi nella società.

Siamo qui riuniti oggi, da mesi e per le prossime settimane, per offrire finalmente un riconoscimento giuridico a realtà nei confronti delle quali siamo in debito, e ogni giorno che passa questo debito, di garanzie e diritti, aumenta sempre di più. Stiamo infatti accumulando un ritardo culturale. Un allontanamento da ciò che nei Paesi nostri vicini è ormai tranquillamente acquisito.

Abbiamo trascurato esigenze profonde delle persone, abbiamo negato diritti anche quando la Corte costituzionale, i giudici ordinari e le giurisdizioni internazionali segnalavano le violazioni sempre più inammissibili di quei diritti e smantellavano le parti più ideologiche della nostra legislazione.

Per molti anni all’interno di quest’Aula, in quel decennio di grandi riforme civili che è stato quello degli anni Settanta, ci si è sfidati, si è combattuto, si sono affrontate visioni del mondo e della società contrapposte. E ogni legge che veniva approvata rappresentava un solco della Costituzione, della parità dei diritti e dei doveri, con l’obiettivo di aumentare l’uguaglianza e la libera scelta dell’individuo, vero valore fondante di una società civile.

Per citare Stefano Rodotà: «Dov’erano state discriminazioni compariva l’eguaglianza costituzionale, al posto dei poteri gerarchici si insediava la logica degli affetti».

Però, negli anni successivi a quella stagione di riforme civili forse irripetibile, abbiamo assistito ad una reazione che ha coinvolto, ideologicamente, parte della politica e anche della cultura cattolica, dando ascolto alle voci e alle opinioni più retrograde e ottocentesche in materia di diritti. Questo lungo inverno di non-riforme al livello politico e culturale ha visto reagire dal basso i nostri concittadini, che, a colpi di appelli, ricorsi di fronte a corti nazionali e internazionali, matrimoni contratti all’estero, hanno cercato di inviare un segnale alla politica affinché prendesse delle decisioni e riconoscesse dei diritti che nulla tolgono a chi è contrario, ma che tanto offrono a chi si sente discriminato nel suo stesso Paese. (Applausi dal Gruppo PD).

Come ha ricordato la collega Cirinnà, alla quale va la mia stima e un affettuoso saluto, per essersi fatta portavoce e capofila di questo importante disegno di legge, siamo qui e siamo decisi ad approvare il provvedimento in esame, perché nessuno possa ancora dire di sentirsi di non esistere per il suo stesso Paese.

Se oggi ci ritroviamo condannati e sanzionati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il mancato riconoscimento delle coppie omosessuali è perché per anni abbiamo dibattuto, parlato e infine rimandato una scelta inevitabile, pensando forse che non riconoscere una situazione di fatto volesse dire negarne l’esistenza. Eppure cari colleghi (e mi rivolgo ai colleghi che, forti di certe prese di posizione etiche e ideologiche, si dichiarano contrari al disegno di legge in esame), risuonano forti nella mia mente le parole di Papa Francesco, quando si chiede: «Chi sono io per giudicare?». Risuonano forti perché davvero non mi sentirei in pace con la mia coscienza di cittadina, di senatrice della Repubblica, di madre, se mi ostinassi a non voler offrire protezione e diritti a quel milione e oltre di italiani che si dichiarano omosessuali e nei confronti dei quali anche voi avete l’obbligo di evitare che, qualora questa norma non dovesse passare in Parlamento, sia la Corte costituzionale o quella europea a dover dimostrare che la politica italiana è ancora una volta indietro rispetto a una realtà sociale già cambiata.

E se tanti, da più parti, ci accusano di aver realizzato un compromesso al ribasso, questo avviene perché sono anni che una legge sulle unioni civili e sul riconoscimento delle coppie omosessuali viene discussa, rivista e infine rimandata a causa dell’opposizione ideologica di chi, in maniera miope, pensa che dare diritti a qualcuno significhi toglierli a qualcun altro. Io invece dico che questo pensiero è inaccettabile per un Paese democratico come l’Italia, perché mai e poi mai riconoscere legalmente più diritti sia una violazione dei diritti di altri. L’essenza della giustizia infatti, consiste nella costante e perpetua volontà di riconoscere a ciascuno il suo diritto.

Concludo, signor Presidente, ribadendo che la mia speranza è che si proceda rapidamente all’approvazione di questo testo, senza se e senza ma, affinché l’Italia torni finalmente ad essere allineata ai Paesi più civili d’Europa e del mondo. Ringrazio, infine, Monica Cirinnà per l’ostinazione e la fermezza con cui ha portato avanti il disegno di legge sulle unioni civili. Nessuna minaccia, nessun insulto, nessuna campagna denigratoria l’ha mai arrestata di un solo passo nel suo difficile cammino. Monica, sono orgogliosa di te. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni.).


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