“O ci penserà l’Europa, o lo farà qualcun altro”. In questa frase Alessandro Alfieri, senatore del Pd e membro della Commissione Esteri, racchiude il bivio che la crisi del Covid-19 ha posto di fronte all’Italia. L’economia del Paese è esposta, e c’è chi è pronto a colmare i vuoti. Si può scegliere a chi aprire le porte, purché sia fatto alla luce del sole.

La Consob ha bloccato le vendite allo scoperto di tutti i titoli quotati, ora il governo valuta un’estensione del golden power al settore bancario e assicurativo. L’Italia corre ai ripari?

Una mossa giusta, e in linea con altri Paesi europei. È un tema fondamentale per la sicurezza nazionale. L’Europa da parte sua ha tamponato l’errore della presidente della Bce Christine Lagarde, sia con il nuovo stanziamento annunciato da Francoforte, sia con il segnale lanciato ai mercati dall’Eurogruppo, che ha promesso un “whatever it takes” per sostenere l’economia.

C’è una parola che è tornata di moda in Ue: nazionalizzazione. L’Italia dovrebbe discuterne?

Non è un tema banale, dovremo presto farci i conti. Penso, ad esempio, al caso Alitalia. Da liberale, ho sempre messo in dubbio, anche con i miei colleghi, l’utilità di prestiti ponte che rinviano il problema. Oggi, con le frontiere chiuse e le compagnie estere che annullano i voli, ci rendiamo conto di quanto sia utile una vera compagnia di bandiera. Ovviamente ci sono dei limiti.

Cioè?

Sono contrario a una radicale alterazione dell’economia di mercato, lo Stato e le organizzazioni internazionali come l’Ue devono intervenire in situazioni di emergenza. Purtroppo sembra questo il caso. Spero che gli Stati europei “frugali”, che oggi si trovano in difficoltà quanto gli altri, vengano incontro a chi sta pagando il prezzo più alto. Anche perché, se l’Ue non si mostrerà solidale, lo farà qualcun altro.

A chi si riferisce?

In un momento di debolezza come quello che attraversiamo, in nome della solidarietà con i Paesi europei si fa avanti un gigante come la Cina. Prima sono solo aiuti. Poi diventa un vincolo all’economia, che con il tempo si trasforma nel tentativo di costruire nuove alleanze politiche, all’interno di un piano, ormai manifesto, volto a cambiare l’ordine internazionale. È legittimo per la Cina perseguirlo, è doveroso per noi esserne consapevoli.

Insomma, con la Cina niente pranzi gratis.

Non c’è dubbio. Lo dico senza polemiche: a volte vedo, soprattutto nel Movimento Cinque Stelle, un atteggiamento troppo accondiscendente. Non disconosco, ad esempio, la validità dei rifornimenti medici inviati dalla Cina, ne siamo grati. Lo abbiamo fatto anche noi anni fa, quando c’è stato il terremoto nel Sichuan, e ora all’inizio della crisi come Commissione Ue.

Allora qual è il problema?

Prima di tutto, risparmierei il sovrappiù di retorica ed enfasi che sta circondando questi aiuti. Sarei più prudente anche nella comunicazione attraverso la tv pubblica, che ha dato molto più spazio alla lettera di Xi Jinping che al piano di aiuti da centinaia di miliardi di euro della Commissione Ue.

Poi?

Se si vuole trasformare questi rifornimenti in una collaborazione economica strutturata c’è bisogno di una riflessione in più, magari tenendo conto delle conseguenze geopolitiche.

Parliamo della “Via della Salute” annunciata da Xi in un colloquio con Conte?

Esattamente. In questo caso non si parla più di un’operazione umanitaria, ma di una nuova puntata della Belt and Road Initiative (Bri), che come sappiamo è un progetto politico prima ancora che commerciale. La Cina sta sfruttando la rapida uscita dal picco della crisi attraverso misure draconiane per rilanciarsi economicamente, come affermano pubblicamente gli stessi leader del Partito comunista cinese (Pcc).

In questa partita rientra anche la corsa al 5G?

È una possibilità concreta, come stanno facendo capire agli Stati Uniti, neanche tanto velatamente. Questo delicato passaggio storico può essere usato per convincere il governo italiano a un cambio di atteggiamento. Vale allora la pena ancora una volta ribadire: bene la cooperazione a 360 gradi con tutti i partner, ma dando prevalenza alla collaborazione storica con l’Ue e con la Nato, e senza alterare le tradizionali linee di politica estera del Paese.


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