Signora Presidente, colleghi senatori, non sempre accade, ma ci sono provvedimenti normativi che più di altri rappresentano, per i cittadini o per una parte di essi, una speranza: uno strumento per migliorare la propria condizione di vita o anche solo per affermare giuridicamente una propria condizione sociale. Io credo che il disegno di legge Cirinnà sia uno di questi provvedimenti.

Un disegno di legge che riguarda due fattispecie distinte – le unioni civili e le convivenze – accomunate, però, dall’obiettivo del riconoscimento giuridico di relazioni affettive e familiari, che il legislatore ritiene finalmente pienamente degne di considerazione sociale.

Dopo decenni di confronti e scontri su temi che sono stati considerati fino ad oggi dal Parlamento non prioritari, e quindi sempre rinviabili, solo la giurisprudenza è riuscita negli ultimi anni a dare qualche risposta a situazioni che, senza previsioni normative, prima di creare forme di discriminazione tra i cittadini, offendono il senso di dignità e di umanità delle persone.

Quello sottoposto oggi al nostro esame è un provvedimento atteso e richiesto da migliaia di persone di diversi orientamenti sessuali e di diverse generazioni, ma direi ancor prima sollecitato dalla nostra Carta costituzionale nei suoi principi fondamentali al fine di superare quelle forme di discriminazione sociale tra i cittadini del nostro Paese.

È un provvedimento sollecitato dalla nostra Costituzione quando essa richiama i diritti inviolabili dell’uomo, quando afferma il diritto di pari dignità sociale dei cittadini, quando chiede alla legge di assicurare ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale.

Signora Presidente, alcune forze politiche presenti in quest’Aula ancora ieri hanno avanzato eccezioni di costituzionalità su questo disegno di legge. Io sono al contrario convinto che esso, superando un colpevole, anzi doloso ritardo normativo, applichi finalmente e pienamente la nostra Costituzione.

In questi mesi abbiamo sentito parlare spesso di una riforma che rischia di certificare definitivamente la dissoluzione della famiglia italiana. Io credo sia vero il contrario, e semmai il maggior contributo alla sua dissoluzione lo dà chi non si arrende al fatto che il concetto di nucleo familiare sia già mutato anche nel nostro Paese e nella coscienza dei nostri cittadini. Lo dimostrano i dati sull’enorme diminuzione del numero dei matrimoni nel nostro Paese e quelli sulla crescita esponenziale dei figli nati fuori dal matrimonio, in tutta Europa e anche nel nostro Paese.

È già oggi, quindi, più corretto pensare ad una famiglia dai diversi volti e dalle diverse espressioni, ma comunque sempre famiglia. In particolare, con le unioni civili non stiamo cercando di tutelare – come dire – indistinte comunità sociali; stiamo riconoscendo una connotazione di famiglia. Famiglia che non deve essere costruita a tavolino dal legislatore o nel laboratorio di qualche scienziato, ma che esiste già. (Applausi della senatrice Mattesini). Migliaia di famiglie che già esistono e che non possiamo ancora una volta ignorare. Anzi, in un certo senso, il battersi per il riconoscimento giuridico di queste nuove espressioni rappresenta la più concreta rivitalizzazione del concetto di famiglia (dalla fuga della famiglia paradossalmente si ritorna, dopo decenni, ad una nuova affermazione del suo valore sociale e istituzionale, anche se in forme diverse); significa rivendicare il diritto non di essere semplicemente tollerati, ma riconosciuti come cittadini con pieni diritti e come un’espressione della comunità sociale del nostro Paese.

Dopo decenni di inutili tentativi è arrivato oggi il momento di dare risposte a queste aspirazioni di affermazione di diritti e in cui il nostro Paese assume una piena responsabilità. Questo è il motivo per cui non è neppure concepibile stralciare l’articolo 5 del cosiddetto disegno di legge Cirinnà, rimandando il confronto sulla stepchild adoption ad un’altra fase e rinviando la tutela della continuità affettiva non tanto dei genitori, ma di migliaia di bambini che, non in futuro ma già oggi, avrebbero maggiori opportunità con l’approvazione di quella norma.

PRESIDENTE. Senatore Angioni, la invito a concludere.

ANGIONI (PD). Mi avvio a concludere, signora Presidente.

E, poi, quanto si dovrebbe aspettare? Rinviare ancora una volta la trattazione di questo argomento indubbiamente molto delicato per le sue implicazioni di diversa natura (e solo perché, diciamola tutta, fino ad oggi non si è riusciti a trovare una formulazione normativa che impedisca in maniera quasi taumaturgica l’utilizzo di pratiche già oggi considerate illegali nel nostro Paese e, come noto, praticate per la stragrande maggioranza da coppie eterosessuali) significherebbe di fatto far scomparire ancora una volta il tema dal dibattito pubblico e parlamentare chissà ancora per quanti anni. Questo è il momento di decidere e siamo già oggi in ritardo nel farlo.

Signora Presidente, ho concluso…

PRESIDENTE. Senatore Angioni, la invito a concludere davvero perché ha già avuto a disposizione due minuti di tempo in più.

ANGIONI (PD). Considero oggi un privilegio per il Senato contribuire a legiferare per riconoscere nuovi diritti a dei cittadini che oggi ne sono ancora privi. Credo che quando si riconoscono nuovi diritti ai cittadini ci sia un particolare carico di responsabilità per tutti noi. Sono certo che sapremo farci carico di questa responsabilità, votando in maniera convinta a favore del disegno di legge in esame. (Applausi dal Gruppo PD).


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