Signor Presidente, nei quindici giorni che abbiamo alle spalle abbiamo assistito tutti quanti, con attenzione e rispetto, all’esprimersi di due piazze, diverse e in qualche misura, così come è proprio della radicalità che talvolta esprimono le piazze, anche contrapposte.

Io credo che il nostro compito, il compito che ci aspetta come legislatori su un argomento così importante, non sia quello di fare a nostra volta l’altoparlante di quelle piazze, ma sia quello di saper esprimere nei loro confronti capacità di ascolto e di assumere una decisione consapevole, avendo anche la sensibilità e l’accortezza di guardare in profondità nel Paese, anche alla vita concreta di una moltitudine di persone, di donne e di uomini, che in quelle piazze non si sono espressi, ma che sono portatori di una legittima e non più rinviabile domanda di diritti.

In questo senso – lo voglio dire con estrema franchezza – darò convintamente il mio voto favorevole al disegno di legge che porta il nome della collega Cirinnà, proprio perché credo che in esso si riassuma in qualche modo la capacità di ascoltare e di tener conto delle molteplici esigenze e posizioni culturali che sono state espresse. Il disegno di legge che stiamo discutendo e che siamo chiamati ad approvare – come ricordava la stessa Monica Cirinnà – è un disegno di legge che in qualche modo tiene conto della domanda forte di diritti che si esprime da parte delle coppie omosessuali, quella di veder riconosciuto, da un istituto giuridico che qualifica nell’unione civile una formazione sociale specifica, un diritto cui aspirano ormai da moltissimo tempo.

Dall’altra parte, per mantenere questo istituto rigorosamente distinto dalla famiglia fondata sul matrimonio tra eterosessuali e mantenendo rigorosamente inaccessibile il diritto all’adozione compiuta, che invece è riconosciuto alle coppie fondate sul matrimonio eterosessuale, intercetta in qualche modo anche la prudenza, la sensibilità e la cultura della piazza che si è ritrovata nel family day.

Per questo io credo che noi, come legislatori, oggi siamo chiamati a far compiere a questo Paese un passo in avanti importante, forse un passo ancora in qualche modo trattenuto rispetto alle convinzioni di una parte di noi, ma un passo importante perché le molte questioni che rimangono aperte di cui hanno parlato moltissimi colleghi oggi – anche colleghi del mio Gruppo – questioni relative alla sfera dell’affettività e della sua regolamentazione oltre che al fronte della genitorialità, possano essere discusse.

Io credo sia questa la sfida che noi, come legislatori, dobbiamo raccogliere, non più da voci che si contrappongono cercando di far rimbalzare i propri toni oltre un muro che divide chi ancora non ha accesso ad un diritto e chi invece pensa in qualche modo di vedere messo in pericolo il proprio diritto dall’accesso di nuove famiglie e nuove comunità che si vedono finalmente riconosciute. (Applausi della senatrice Cirinnà e del senatore Lumia).

Io credo che con questo passo avanti noi favoriremo la messa in comunione delle istanze e delle divergenze, sul terreno della discussione e dell’approfondimento che ancora è necessario per completare un disegno che con questo primo passo si comincia meglio a delineare, di quelle piazze che in qualche modo si sono contrapposte. Questo è il compito che ci attende come legislatori e interpreti di una responsabilità nazionale nei confronti della collettività del Paese.

Lo dico perché non vorrei che con questo passaggio sembri che io voglia sminuirne la rilevanza, ma questa legge è molto importante anche nell’interesse del Paese perché allargare il fronte dell’inclusione sociale, far accedere al perimetro dei diritti coloro che oggi ne stanno fuori significa dare maggior forza a quella coesione del tessuto sociale di cui il Paese ha bisogno per affrontare le sfide cui si trova di fronte. Lo dico con il massimo rispetto nei confronti di chi ha voluto ricordare in queste settimane che l’Italia abbia altri e più urgenti problemi. Io credo che l’Italia abbia moltissimi problemi ma credo anche che affrontarli includendo una moltitudine di persone che oggi sono escluse da un fronte di diritti fondamentali per la persona, sia in qualche modo lavorare per rendere più forte e coeso il Paese.

Aggiungo, e concludo Presidente, che fa un po’ impressione – lo dico con una battuta – guardare in questi giorni le mappe che su tutti quotidiani delineano la situazione europea relativa al tema dei diritti civili sul fronte che riguarda la regolazione della sfera dei rapporti affettivi. Infatti, a prima vista, sembra la carta dell’Europa precedente alla caduta del muro con qualche eccezione come l’Ungheria, la Slovenia, la Croazia e l’Estonia che stavano nel campo oltre cortina e che oggi sono, invece, tra gli Stati che hanno riconosciuto questo sistema di diritti. Vi è poi un’eccezione che mi preoccupa molto, quella dell’Italia e della Grecia, che stavano nel campo delle democrazie prima della caduta del muro e che oggi, invece, su questo fronte si attardano.

Lo dico, dato che ci sono stati alcuni passaggi nella discussione che abbiamo avuto in questi giorni, non perché ritengo che dobbiamo muovere questo passo solo ed esclusivamente perché ce lo chiede l’Europa, ma perché con questo passo noi dobbiamo fare i conti con uno dei requisiti fondamentali che distingue le democrazie liberali e cioè il principio che nessuno può essere escluso dall’accesso ai diritti fondamentali della persona solo in ragione di ciò che è. Si tratta di uno dei principi fondamentali che informa la nostra civiltà, la nostra cultura democratica. Compiere questo passo significa andare avanti nella direzione della costruzione di un sistema dei diritti che credo potrà fare bene non solo a coloro che oggi li chiedono ma anche a tutto quanto il Paese e alla nostra collettività nazionale. (Applausi dal Gruppo PD).


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