Signora Presidente, signori senatori, sono uno dei primi firmatari dei disegno di legge n. 2.081 (il cosiddetto disegno di legge Cirinnà) che è oggi all’esame del Senato.

Desidero però precisare in quest’Assemblea che l’ho sottoscritto un po’ a fatica, perché, come noto, esso costituisce un compromesso – il terzo, forse addirittura il quarto – rispetto alla più completa proposta normativa originaria. Si è comunque arrivati ad un risultato positivo, pervicacemente e con intelligenza raggiunto grazie al lavoro dei colleghi della Commissione giustizia, in particolare dei colleghi Cirinnà, Lumia e Lo Giudice. Tuttavia, meno di così non mi parrebbe francamente proprio possibile discutere di unioni civili o di convivenze di fatto, né tanto meno votarle.

Nel tentativo di venire incontro alle necessità sociali ed istituzionali di persone ancora oggi discriminate per ragioni sessuali e di bambini cui vengono ancora oggi negati diritti fondamentali, abbiamo accettato di riscrivere il testo del disegno di legge smorzandone alcuni toni, pur ribadendone i capisaldi imprescindibili. Questi sono i motivi per cui voterò a favore di questo testo, così come di tutti gli emendamenti estensivi a favore del pieno riconoscimento delle unioni omosessuali.

In quest’Assemblea si è continuato a parlare di incostituzionalità – presunta – delle norme al nostro esame, anche dopo il voto del Senato contrario alle questioni pregiudiziali e alle eccezioni formulate. Per una volta tanto, però, vorrei che si avesse piena consapevolezza della situazione attuale: mi riferisco al fatto che il ragionamento dovrebbe venire invertito e che si dovrebbe partire dalla constatazione che incostituzionali non sarebbero le nuove norme proposte, quanto piuttosto lo status di fatto e di diritto in cui ci si trova ora come società, istituzioni e Stato italiano. Si tratta di uno status di illegalità costituzionale conclamata e recidiva nei confronti e a danno di persone comunque unite da vincoli quanto meno di affetto e nei confronti di bimbi che qualcuno, con sprezzo estremo del senso di umanità (e di misericordia, direbbero le fonti ecclesiali), continua a non voler tutelare in maniera piena. Costoro vorrebbero la perpetuazione di un vuoto istituzionale e uno stato permanente di non uguaglianza e non solidarietà, francamente fuori dalla storia sociale e civica dell’umanità.

È innanzitutto la Corte costituzionale italiana che, con la sentenza-monito n. 138 del 2010 e con la sentenza n. 170 del 2014 sul cosiddetto divorzio imposto, rilevando appunto un vuoto normativo in materia, impone al legislatore di intervenire con la «massima sollecitudine» per introdurre una disciplina che consenta di regolamentare giuridicamente, con legge ordinaria, situazioni al giorno d’oggi ancora scoperte di fatto e in diritto, però poste sotto l’egida dell’articolo 2 della Costituzione.

È altresì la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che il 21 luglio 2015 ha condannato l’Italia proprio per l’assenza di una disciplina che garantisca adeguata tutela alle unioni non matrimoniali e che ci richiama al rispetto dei diritti fondamentali delle persone e, in particolare, alla tutela delle unioni anche omosessuali.

E le due Corti supreme citate certamente, “in parte qua”, non svolgono una generica attività o funzione ermeneutica, quanto piuttosto intendono imporre l’ossequio ad una serie princìpi vigenti, perché già normativamente sanciti.

In primo luogo, il disegno di legge al nostro esame, lungi dal violare una qualsiasi disposizione costituzionale, costituisce invece attuazione, seppur tardiva, molto tardiva, come in vari altri casi, di quell’articolo 2 della Costituzione, cui la sentenza n. 138 del 2010 ha ricondotto con linearità e chiarezza, logiche e giuridiche, le unioni civili, come una delle tante formazioni sociali di cui parlano i Titoli 2, 3 e 4 della Parte prima della nostra Costituzione, mentre, lo ricordo, l’articolo 2 rientra specificamente tra i “principi fondamentali”, cui tutte le altre norme sottostanno, devono sottostare. Rammento, tra le varie formazioni sociali citate in Costituzione, la stessa famiglia di cui tanto si discute oggi, le scuole non statali, le istituzioni di alta cultura, le accademie, le organizzazioni sindacali, le comunità di lavoratori, le cooperative e le formazioni politiche, tra cui i partiti

Ma c’è di più, perché il nostro diritto interno deve fare i conti con il sistema istituzionale europeo e con le collegate decisioni della Corte suprema comunitaria, cui dobbiamo rapportarci.

Se è vero, come è vero, che nel 2013 la Corte di Cassazione italiana ha chiaramente scritto che le scelte in materia spettano al legislatore ordinario, anche a conferma della decisione della stessa Corte del 2012 che aveva ribadito letteralmente il diritto alla «vita familiare» per gli omosessuali, e se teniamo conto del sollecito rivolto al legislatore dalla Corte Costituzionale nel 2010, ancora letteralmente, «nell’ambito dell’articolo 2 della Costituzione», dobbiamo prendere atto del fatto che la Costituzione e in particolare i suoi articoli 2 e 3 (sul principio di uguaglianza) si pongono in posizione gerarchicamente superiore rispetto ad ogni altra norma, segnatamente e ovviamente quelle del codice civile.

E questo fondamentale principio di uguaglianza costituisce un faro imprescindibile anche per il sistema istituzionale europeo, in cui la Carta dei diritti fondamentali ha cancellato il requisito della diversità di sesso sia per il matrimonio, sia per ogni altra forma di costituzione della famiglia, riaffermando decisamente che non sono ammesse discriminazioni basate sull’orientamento sessuale.

Basta rileggere l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’articolo 9 della Carta di Nizza per rendersi conto della specifica previsione del diritto di sposarsi e di costituire una famiglia per tutti, senza alcuna discriminazione. La Carta di Nizza è stata recepita dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, e le relative norme costituiscono ormai e di certo ius receptum per il nostro ordinamento.

Dicevo, in premessa, che a fatica ho accettato questo compromesso, anche perché mi ero reso conto, soprattutto durante le nottate di ostruzionismo in Commissione giustizia da parte del centrodestra (che grottescamente si era messo a disquisire perfino della differenza di significato ed etimologica tra gli aggettivi “saffico” e “lesbico”), che i contrari a questo disegno di legge in realtà non volevano delle modifiche. In realtà, non volevano e non vogliono proprio nulla, nessuna legge, nemmeno sulle convivenze di fatto, previste dal capo secondo del disegno di legge, con ciò ribadendo quella situazione di vuoto costituzionale, assolutamente deprecabile e inaccettabile e inventandosi false scuse, falsi nemici, false e presunte situazioni incresciose.

Bisogna invece che individuiamo e che ci liberiamo da quelli che sono veri e propri “depistaggi”. Non ha alcun senso, infatti, il richiamo subdolamente e fintamente terrorizzato a presunte maternità surrogate (vietate anche penalmente dal 2004) o all’utero in affitto. Non c’è in alcuna parte del disegno di legge qualcosa che minimamente consenta una tale lettura o interpretazione. Questo esiste soltanto in menti offuscate dal peggior clericalismo, dal peggior oscurantismo, che in effetti giunge persino a proporre sanzioni penali rafforzate, come se l’epoca del potere temporale dell’Inquisizione non fosse ormai un lontano e non rimpianto ricordo. (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Bignami e Cirinnà).

Qui si tratta, invece, molto semplicemente e in maniera molto trasparente, di prendere atto di tante situazioni di fatto, di coppie che si amano e di tanti bimbi e bimbe che già esistono e che hanno diritti fondamentali, in quanto persone, che la politica e il legislatore hanno il dovere, sociale etico e giuridico, di regolamentare, tenendo ben presente il faro dell’uguaglianza, della dignità e della solidarietà.

Considerazioni analoghe andrebbero svolte per i milioni di persone che hanno deciso per una convivenza di fatto, che qualcuno, obnubilato, ha persino proposto di stralciare. Tuttavia il tempo è tiranno e ne parlerò, eventualmente, in sede di emendamenti.

Un accenno soltanto merita invece l’insistito e plurimo richiamo – che pare proseguirà – ad un presunto vizio di legittimità costituzionale per motivi procedurali per violazione dell’articolo 72 della Costituzione. Tale eccezione è palesemente infondata, anzitutto perché l’articolo 72 sancisce una riserva regolamentare nella parte in cui – appunto – demanda ai Regolamenti parlamentari la disciplina della procedura in esame per l’esame in Commissione e poi in Assemblea (come anche la sentenza Corte costituzionale n. 237 del 2013); in secondo luogo, lo è perché l’articolo 44, comma 3, del Regolamento del Senato dispone che, qualora una Commissione non esaurisca l’esame in sede referente entro il termine stabilito in sede di programmazione, il disegno di legge possa essere sottoposto all’Assemblea nel testo del proponente, il che è quanto avvenuto nel caso di specie, stante l’elevato numero di emendamenti presentati e l’ostruzionismo posto in essere. Si precisa inoltre che, nella seduta del 12 ottobre 2015, tutti i disegni di legge fino ad allora presentati sul tema vennero riuniti su proposta del Presidente e non essendovi osservazioni in senso contrario da parte di alcuno, nemmeno dai presenti senatori del centro-destra, uno dei quali anzi intervenne per ribadire la prassi seguita, a conferma della normativa vigente e rispettata. Il tutto risulta molto chiaramente dal verbale della seduta di Commissione.

In conclusione, mi sia consentito rivolgermi all’alto magistero del Presidente della Repubblica, per chiedere conferma di una attenzione speciale verso il rispetto della nostra Costituzione, nel senso che la situazione attuale di illegalità, sostanziale e giuridica costituzionale, deve essere assolutamente sanata, venendo incontro alle esigenze e ai diritti di tutti, anche delle minoranze, anche dei più deboli e dei meno tutelati, senza far loro pagare responsabilità che di certo non hanno, nell’alveo dei principi di uguaglianza e solidarietà di cui agli articoli 2 e 3 della nostra Carta fondamentale. (Applausi dai Gruppi PD e M5S e dei senatori Bignami e Romani Maurizio).