Signor Presidente, chiedo l’autorizzazione a consegnare il mio intervento, laddove il tempo a mia disposizione non fosse sufficiente a svolgerlo per intero.

Il disegno di legge che oggi discutiamo affronta uno dei temi che da sempre ha diviso l’opinione pubblica, ha diviso le coscienze, ha diviso in schieramenti differenti da quelli abituali anche quelle che sono state in passato e che sono anche oggi forze di maggioranza. Io stesso – lo dico immediatamente per fugare ogni dubbio – nutro delle perplessità su qualche parte di questo testo e ho un’opinione differente rispetto a quella che è stata già espressa anche stamattina dalla collega Filippin, con la quale ho un rapporto particolare di amicizia e di stima. Io tuttavia non condivido la sua impostazione; ho evidentemente un’impostazione diversa e soprattutto, pur credendo nei medesimi valori, vorrei assicurarle che io ho a cuore almeno quanto lei le sorti dei bambini, perché in una impostazione differente non c’è nessun pregiudizio nei confronti dei bambini, non c’è alcuna volontà discriminatoria e abbiamo altrettanto a cuore le sorti dei bambini.

Nel modesto contributo alla produzione legislativa di questo Governo, che ha cambiato e sta cambiando gli assetti della struttura democratica stessa e che cerca di offrire un quadro normativo, economico e sociale in sintonia con l’epoca che stiamo vivendo, i miei riferimenti sono sempre stati e saranno sempre la Carta costituzionale e valori intramontabili come le opportunità, la giustizia, il coraggio e la libertà. Opportunità intese come possibilità che offriamo alle italiane e agli italiani di poter seguire la propria e personale crescita e affermazione senza discriminazioni che possano provenire da terzi o dal legislatore stesso. Dobbiamo sempre ricordare che non governiamo per noi stessi, non legiferiamo per noi stessi, ma siamo prestati all’Italia per portarne avanti la storia gloriosa di avanguardismo culturale e sociale. Dobbiamo amministrarla come buone madri e buoni padri di famiglia che non scelgono che vita faranno i figli, ma devono darsi da fare per offrire loro gli strumenti affrontare il proprio futuro.

Mi riferisco, dunque, a valori come la giustizia, intesa come diritto, alla pari di tutti gli altri, di non essere discriminati per sesso, razza o religione, e quindi neanche per orientamento sessuale. Ho enorme rispetto per la chiesa cattolica e per le altre religioni, che liberamente si possono praticare nel nostro Paese, per i movimenti che esprimono legittimamente e convintamente le proprie posizioni, ma diverso deve essere l’approccio di questa Assemblea ai temi che andiamo affrontando, senza cedere a falsi moralismi o a posizioni di ortodossia estrema. Mi riferisco al coraggio, come quello di guardare oltre le nostre certezze e, se mi consentite, in alcuni casi anche oltre le nostre paure. È il coraggio di ascoltare senza preconcetti, ma con la responsabilità, la serietà, il rispetto e la vicinanza, che dobbiamo avere verso ogni nostra e nostro concittadino. Dobbiamo guardare soprattutto ai timori dei destinatari di questo disegno di legge, al loro senso di precarietà e all’impossibilità di vedere un futuro sostenibile. Mi riferisco alla libertà, intesa come lo spazio di affermazione concesso a ognuno di noi, che termina esattamente dove inizia la libertà di un altro individuo. Mi auguro – anzi ne sono certo – che nessuno, in questa Assemblea, ormai nel 2016, voglia affermare che una coppia di donne o di uomini che vive nel rispetto della legge e delle regole, possa in qualche modo intaccare la nostra libertà.

Questo disegno di legge non serve per sconfessare le posizioni di uno o dell’altro, per misurare le forze degli uni o degli altri, ma è la risposta – di certo perfettibile, come qualsiasi provvedimento che adottiamo, ma che costituisce comunque una pietra miliare nella storia del nostro Paese – alla domanda di uguaglianza che viene da tutti gli italiani, o comunque dalla gran parte di essi. Nonostante sia stato ricordato già in questa Assemblea che gli omosessuali dichiarati in Italia sono meno del 2 per cento della popolazione, più del 71 per cento degli italiani riconosce che è giusto offrire anche agli omosessuali che lo vogliono uno status di coppia unita e formalizzata, con diritti e doveri e reciproca cura e assistenza. Il disegno di legge al nostro esame costituisce dunque un atto di civiltà e coerenza, che dobbiamo al nostro popolo, al quale, forse, arriviamo anche con ritardo, dopo lustri di discussioni mai approdati a nulla. È dal 2013 che il testo passa in Commissione per essere modificato e poi modificato ancora. Diamo atto al Parlamento che finalmente ci stiamo mettendo al passo con la realtà.

Sono dunque convintamente a favore dell’impianto del provvedimento, tuttavia non ne condivido l’intero testo, in quanto, come ho avuto modo di dire anche in altri contesti e circostanze, si è forse voluta alzare troppo l’asticella, introducendo temi che hanno destato in me forti perplessità. Il problema, come è stato già abbondantemente detto, è costituito dall’articolo 5. Credo che non possiamo avallare questo articolo, facendo nostra la chimera del “diritto alla genitorialità” , né tantomeno invocando la tutela per i minori. Credo che questi temi – non lo dico solo io, ma eminenti costituzionalisti che citerò in seguito – siano uno specchietto per le allodole, dal quale in tanti sono attratti, senza rendersi conto che il diritto alla genitorialità non è sancito né è riconosciuto: credo che questo sia un fatto acquisito. Essere genitori è un legittimo desiderio, un’aspirazione, una responsabilità, un percorso e un dovere, che lo Stato incentiva, ma di certo essere genitori non è un diritto. A proposito dei minori, il tema dell’interesse preminente del minore ha costituito l’argomento cardine sulla base del quale è stato scritto il testo dell’articolo 5. Ebbene, io non concordo con tale visione del tema, ritenendo che l’asserita tutela del minore mascheri invece la volontà di favorire gli interessi o, se preferite, i desideri dei componenti la coppia. Tra l’altro, ho da sempre manifestato perplessità sull’adozione, non per l’istituto in se stesso, ma perché semplicemente mi rendo conto – come è stato già detto – che oggi l’istituto, così com’è regolato dalla legge, necessita di una seria rivisitazione. Mi sono fatto anche parte diligente, chiedendo che si procedesse immediatamente alla rivisitazione dell’intero istituto, perché se così non si facesse, sicuramente si creerebbero delle disparità di trattamento, che già con l’approvazione del testo attuale verrebbero a crearsi, ad esempio tra gli individui componenti coppie omosessuali, rispetto ai componenti di coppie di sesso differente.

L’approvazione della norma così com’è non supera problematiche di rilevante importanza e materializza, come dicevo, la discriminazione per le coppie eterosessuali inquadrate in questa legge, non pone le dovute precauzioni alla possibilità dell’affermarsi di pratiche di mercificazione della maternità, che la cronache ci dicono essere in aumento, dando ancora spazio alla mortificazione dell’umanità stessa e in generale alla tratta dell’essere umano e della donna in particolare.

E allora c’è domandarsi se forse l’istituto dell’adozione non sottenda semplicemente a mascherare e legittimare la pratica dell’utero in affitto, che in Italia è vietata in forza della legge n. 40 del 2004.

Flick, Mirabelli e De Siervo sono tre eminenti costituzionalisti, tutti Presidenti emeriti della Consulta, che hanno manifestato le loro perplessità sul contenuto dell’articolo 5. Secondo la loro autorevole opinione, non vi sarebbe necessità di alcuna previsione normativa esplicita, posto che l’attuale legge sulle adozioni sarebbe sufficiente a dare risposta alla preoccupazione del genitore naturale per le sorti del figlio attraverso l’istituto dell’adozione speciale, che già altre volte è stata riconosciuta. I tre giuristi citati, seppure con sfumature diverse, affermano che l’articolo 5, lungi dall’assicurare tutela al minore, persegue piuttosto gli interessi degli adulti e la loro aspirazione ad utilizzare la maternità surrogata per poi estendere la genitorialità al partner, aprendo quindi la strada all’illegalità, in considerazione dei divieti posti dalla legge n. 40 già citata.

Allora dico: usciamo da questa ipocrisia.

Si badi che De Siervo, che era nella Corte costituzionale che aveva pronunziato la nota sentenza del 2010, che ha costituito l’impulso finale alla regolamentazione della materia, oggi, sull’articolo 5, pensa ciò che ho appena esposto.

Ho sentito dire che è corretto approvare anche l’articolo 5 perché molte coppie etero ricorrono, nonostante il divieto, alla pratica dell’utero in affitto recandosi all’estero, quindi è giusto consentirlo anche alle coppie omosessuali. Mi sta bene, ma ribadisco: usciamo dall’ipocrisia e diciamolo apertamente. Non manteniamo una situazione considerata illegale continuando a legittimarla dicendo che i bambini ci sono. Badiamo ai bambini che ci sono e c’è già una normativa che lo consente.

A questo punto vi faccio notare che c’è un emendamento che potrebbe evitare che la pratica dell’utero in affitto possa essere ancora esercitata. Si tratta di un emendamento che prevede che tale pratica venga considerata condannabile anche in Italia seppure commessa all’estero: approviamo questo emendamento e usciamo dall’ipocrisia. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Giovanardi e Quagliariello). Diciamo che la pratica dell’utero in affitto è assolutamente vietata e condanniamola. Se effettivamente la volontà è solo quella di tutelare i bambini che ci sono, la legge già prevede delle tutele.

Se ragionassimo diversamente, dovremmo uscire dall’ipocrisia. Ma i sostenitori di questa strampalata teoria dovranno poi giustificare davanti all’Italia e agli italiani il mercimonio che inevitabilmente si farebbe delle donne che, per bisogno economico o, peggio, per cupidigia e avidità di denaro, si prestassero a portare avanti una gravidanza rinunciando al proprio figlio biologico, per consegnarlo ai richiedenti al momento della nascita, privando però anche il bambino del suo genitore biologico, spezzando quel rapporto di simbiosi che si sviluppa tra madre e figlio sin dal momento del concepimento.

Queste perplessità le ho esposte, le ho ancora e non sono state fugate e, credetemi, sono aperto a qualsiasi soluzione che mi convinca, che possa fugare queste perplessità e che consenta di risolvere i problemi che mi sono posto e che ho posto anche gli altri. Ad oggi, francamente non condivido e continuo a non condividere quella parte della legge.

Poiché le opinioni di tutti quelli che siedono in quest’Aula dovrebbero essere sempre improntate al senso di responsabilità, al desiderio di contribuire al dibattito nell’interesse collettivo piuttosto che essere indirizzate a profitti elettorali o alla ricerca di popolarità, l’auspicio è che si continui a discutere fino a quando non andremo alle votazioni, per cercare una soluzione che possa essere condivisa e che possa risolvere problemi che inevitabilmente sorgerebbero se la legge dovesse essere approvata così come è, con l’articolo 5.

Noi non possiamo stabilire che le unioni civili siano formazioni sociali specifiche e poi connettere le stesse al quadro normativo afferente alle coppie legate da matrimonio, senza creare disparità e discriminazioni rispetto ad altri soggetti o situazioni. E per tutti, cito il caso dell’adozione da parte di un soggetto singolo.

Cerchiamo di risolvere tutti questi problemi. Continuiamo a discutere. Se tutti insieme facciamo un passo indietro e proviamo a confrontarci, affrontando il tema alla luce delle tante riflessioni di ordine giuridico e sociale che hanno contribuito al dibattito, nell’ottica di un lavoro proficuo ed in direzione degli epocali cambiamenti sociali che vengono profilati da questa nuova normativa, credo si possa trovare una soluzione. Io stesso voterò convintamente a favore dell’impianto della legge, perché ne condivido il contenuto, e sono assolutamente pronto a trovare una soluzione che dia le risposte ai problemi di cui ho parlato in precedenza. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).


Ne Parlano