Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame affronta il tema delle unioni civili omosessuali e delle convivenze, aspetti che riguardano la vita concreta dei nostri cittadini; importanti questioni di principio, certamente, e fondative della nostra società, che interpellano di conseguenza la nostra stessa coscienza di popolo, costringendoci ad esaminare profondamente la nostra identità, a riaprire dibattiti in passato svolti in maniera lacerante, ad affrontare ritardi e blocchi sociali, che più comodamente, magari, avremmo preferito lasciare per un’altra stagione politica più consolidata, meno densa e frammentata.

Dovremmo, colleghi, avere la consapevolezza della gravità del compito che ci è affidato e che abbiamo assunto, ma al contrario mi pare in atto un tentativo di ristabilire improbabili glaciazioni bipolari; un bipolarismo etico che assomiglia più a furberie fuori moda e rappresenta il riflesso incondizionato di una certa politica, che non sa fare altro che rifugiarsi nelle rispettive piazze, ergersi a paladina dell’una o dell’altra parte, chiamate surrettiziamente in gioco, evitare le proprie responsabilità chiedendo il rinvio della partita per impraticabilità di campo.

Certo, l’ostruzionismo esacerbato esercitato in Commissione giustizia ha impedito di fatto ai nostri colleghi di terminare efficacemente un percorso, di operare quelle mediazioni alte che servono in queste occasioni, lasciando all’Assemblea, alla complessità dei rapporti tra i Gruppi, alla difficoltà di individuare maggioranze chiare e coerenti, al buio di passaggi regolamentari, che dovremo compiere in maniera inedita, il compito di effettuare una sintesi e recuperare pienamente il senso di questa responsabilità.

Occorre anzitutto riconoscere che il testo che viene presentato obbliga a stare in un sol colpo dentro a tutte le asperità di questo dibattito (non ne risparmia nessuna) e costringe ad un esercizio emendativo non facile, assolutamente parziale anche rispetto alle intenzioni dei singoli proponenti, per l’impossibilità tecnica di richiudere dentro emendamenti volontà che dovrebbero andare a toccare anche aspetti della nostra legislazione in questa sede non procedibili, come ha ricordato anche efficacemente la collega Filippin.

È un’audacia che anche personalmente avrei a suo tempo evitato, essendo uno dei firmatari di un disegno di legge su questo tema che si proponeva di dispiegare la nostra azione a tappe intermedie, tese a risolvere in maniera più radicale i nodi che ci vengono posti, ma nel contempo a favorirne la piena comprensione, evitando inutili fratture e sterili riproposizioni di un passato fallimentare.

Oggi è il tempo del coraggio. Ciascuno di noi, come ha potuto, ha posto in evidenza delle ragioni, senza riuscire, a mio parere, ad abbattere il muro di incomprensione che il passato ci ha consegnato come scomoda eredità. Oggi abbiamo il dovere di avanzare lungo una traiettoria il più possibile condivisa nel Paese, di garantire diritti e di guardare alla concretezza delle situazioni sapendo ribadire tutti i portati di civiltà che la nostra Costituzione ed il nostro ordinamento democratico mantengono ed esprimono già oggi attraverso le differenti modalità che conosciamo.

Dobbiamo essere paladini del Paese e delle riforme cui ci siamo impegnati dando vita e forma a questa legislatura: mi riferisco sia a chi ha aderito alle larghe intese sia a chi non lo ha fatto, ma ha sempre denunciato la propria condanna sul passato e sullo status quo.

Non portare a termine questo iter legislativo sarebbe una sconfitta per tutti e anzitutto per il Paese. Le unioni civili omosessuali sono la risposta urgente, necessaria e coerente alla Costituzione del nostro Paese che questo Parlamento deve indicare con decisione. Tra i tanti emendamenti presentati vi sono tutte le possibilità reali per migliorare il testo giunto in Aula tra mille insidie, cominciando a dare delle risposte anche a quei bambini, cittadini italiani – la più preziosa delle nostre risorse – che ci chiedono una certezza dei propri diritti e delle più ampie tutele. Abbiamo il dovere di avanzare nella direzione che già il nostro ordinamento contempla e di rispondere alle sollecitazioni della nota sentenza n. 138 del 2010 della Consulta, cogliendo l’occasione per precisare meglio gli aspetti più controversi che il nostro faticoso dibattito ha avuto il pregio di far emergere.

Mi avvio a concludere, signor Presidente. Mi pare importante sottolineare il gesto che all’unanimità i senatori del Partito Democratico hanno voluto compiere: riconoscere la necessità inderogabile di arrivare fino in fondo a questo sforzo, garantendone comunque il voto positivo. Non sotterriamo le nostre responsabilità nelle insidie regolamentari, nel buio terreno dei tanti voti giustamente di coscienza e probabilmente a scrutinio segreto: compiamo in questa sede lo sforzo che ancora manca per giungere ad una sintesi politica largamente condivisa, che vada nella direzione indicata dal testo ed eviti quei percorsi a zigzag o – peggio – i ritorni a superate incomprensioni che nulla hanno a che vedere con la stagione riformista cui tutti, con toni differenti, diciamo di volerci appellare. (Applausi dal Gruppo PD).


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