Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, nel tempo limitato che mi è concesso non parlerò della necessità per il nostro Paese di dotarsi di un istituto che riconosca i diritti e doveri della «unione omosessuale intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», come afferma la nostra Corte costituzionale nella ormai celebre sentenza n. 138 del 2010. Altri lo hanno fatto e lo faranno dopo di me. Io, invece, vorrei andare direttamente sul punto di maggior contrasto, sulla linea che divide, nel cuore delle polemiche, visto che, almeno a parole, tutti in quest’Aula – tranne, forse, il senatore Aracri – riconoscono il diritto di ogni cittadino a vivere liberamente la relazione affettiva, a prescindere dal proprio orientamento sessuale.

Io vorrei parlare di bambini, di figli e del presunto diritto o pretesa degli adulti ad essere genitori. Io parlerò solo dell’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà che molti di noi hanno sottoscritto.

Qualcuno sostiene che l’articolo 5 del disegno di legge n. 2081 riconosce al cittadino di orientamento omosessuale o – peggio ancora – alla coppia omosessuale il diritto ad un «figlio», un diritto che nessun adulto, ovviamente se omosessuale, dovrebbe avere; un diritto inteso come realizzazione di un proprio desiderio, come un diritto sulla persona, come se essa fosse un oggetto di proprietà. Ebbene, nel disegno di legge Cirinnà non c’è nulla di tutto questo. Anzi, è proprio l’assenza di ogni riferimento ai diritti o doveri connessi all’essere genitori e, dunque, alla procreazione a contraddistinguere l’unione civile dal matrimonio e dalla società naturale che su di esso si fonda.

Nella prima stesura del disegno di legge Cirinnà c’era un esplicito riferimento all’articolo 147 del codice civile che, per chi non lo conosce, disciplina i doveri verso i figli. È stato tolto. C’era il riferimento all’articolo 148 sul concorso dei genitori negli oneri economici. È stato tolto. Si prevedeva che, nel certificato che attesta l’unione civile – al pari del certificato di matrimonio – fossero riportati i dati anagrafici di eventuali figli minori dell’unione civile. È stato tolto anche questo. C’è l’esplicita esclusione della adozione. I cittadini omosessuali non possono accedere all’adozione legittimante prevista dalla legge n. 184 del 1983.

Informo i colleghi, che evidentemente non conoscono questa legge, che sin dal lontano 1983 il legislatore ebbe la lungimiranza di pensare che, pur di dare una stabilità simil-famiglia a un bambino, non è necessario che la coppia sia regolarmente sposata. Quel legislatore ebbe la lungimiranza di prevedere l’istituto dell’adozione speciale, alla quale tutti possono accedere, persino le persone sole. E vi scandalizzerò: possono accedervi persino gli omosessuali, purché i bambini non possano essere adottati dalle cosiddette famiglie naturali o tradizionali, cioè dalle coppie ritualmente e serenamente sposate. Già nel 1983 il legislatore aveva ben chiaro che il primo obiettivo è proteggere i bambini. (Applausi dal Gruppo PDe delle senatrici Bencini e Simeoni).

Nella proposta di legge Cirinnà – benché si voglia continuare a dire questa cosa – sono rimasti intatti tutti i divieti previsti dalla legge n. 40 del 2004. Non è minimamente toccata la legge n. 40. Allora come fa il disegno di legge Cirinnà, che non tocca affatto questo punto, ad avere effetti su un tema completamente diverso? Vogliamo discutere di maternità surrogata? Vogliamo discutere di procreazione? Vogliamo discutere di fecondazione eterologa? Benissimo: facciamolo nella sede opportuna, e cioè nella legge di revisione della legge n. 40. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Simeoni).

Insomma, alla domanda se questo disegno di legge riconosce alla coppia dello stesso sesso il diritto ad essere genitori la risposta, colleghi, è no. È una risposta che personalmente mi crea dubbi e che non condivido, ma è un dato di fatto.

Certo, c’è l’articolo 5. C’è la possibilità di accedere all’adozione del figliastro in base all’articolo 44 della legge n. 184 prima citata, o meglio di chiedere l’estensione della responsabilità genitoriale sul figlio legittimo del proprio partner. Perché è stato previsto questo istituto? Il legislatore non può ignorare la realtà, non può chiudere gli occhi e far finta di non vedere.

Vi scandalizzerò di nuovo. I cittadini omosessuali fanno figli. Li possono generare in modo assolutamente naturale, per una accettazione o comprensione tardiva del proprio orientamento sessuale o per una esplicita scelta. Oppure possono generarli grazie alle tecniche che la scienza moderna mette a disposizione, tecniche nella maggior parte dei casi vietate in Italia, ma consentite e legalizzate in altri Stati, ai quali spesso noi italiani guardiamo come modello o punto di riferimento.

Gli omosessuali possono generare figli e, a meno che non si impedisca con la forza, con la sterilizzazione o chissà in che altro modo (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Bencini e Simeoni), i bambini figli di omosessuali o di lesbiche ci sono, ci sono e ci saranno. Per quante leggi si scrivano, per quanti muri si erigano, per quanti reati o pene si prevedano, i bambini ci sono adesso e ci saranno anche domani.

Allora al legislatore, a chi siede – pro tempore – in quest’Aula spetta quest’unica scelta: se occuparsi di questi bambini, dando loro tutte le tutele, la protezione e la cura che il nostro ordinamento consente, oppure ignorarli, chiudere gli occhi e far finta che non esistano, o – peggio ancora – dare loro, consapevolmente, minor tutela e minori diritti perché figli di un omossessuale o di una lesbica.

Questa è scelta che dobbiamo fare, colleghi. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Simeoni).

Dobbiamo decidere se Giulio, due anni o poco più, un caschetto sulla testa e la certezza che da grande farà il poliziotto, per il solo fatto di essere stato generato da una donna che è ricorsa alla fecondazione eterologa, avrà sempre e soltanto un solo genitore legale, anche se accanto a sua madre c’è un’altra donna che ha condiviso sin dal primo momento la sua vita, si è occupata di lui, lo cura, lo educa, lo mantiene e vorrebbe continuare a farlo anche nel caso, malaugurato, in cui finisca il rapporto affettivo e la convivenza con la madre di Giulio.

Dobbiamo decidere su Teresa, diciotto mesi, che indossa delle vezzose scarpette rosse, che ha un papà ma è stata generata in California con l’aiuto di una madre surrogata e, dunque, con un’azione che in Italia è illegale, non consentita, punita come reato. Ebbene, dobbiamo decidere se Teresa, per il solo fatto che suo padre l’ha generata in questo modo, sarà punita con un trattamento giuridico diverso rispetto a qualsiasi altra bimba figlia di un solo uomo che, però, ha una moglie o una compagna di vita di sesso diverso, i quali quindi possono accedere all’adozione speciale ex articolo 44 della legge n. 184 del 1983.

Questa e solo questa è la scelta che dobbiamo fare votando sì o no all’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà: se, pur condannando il modo con cui questi bambini sono nati, pur ritenendolo illegale o immorale, noi ad essi dobbiamo dare tutela piena oppure, proprio perché generati tramite atti ritenuti immorali o illegali, a questi bambini noi riconosciamo solo minori diritti. (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Repetti e Simeoni).

Per me questa scelta è obbligata. Se ho a cuore i bambini, il loro benessere, la loro tutela, non posso negargli di avere, accanto a quello legale (o naturale), un altro genitore, con pienezza di doveri e responsabilità nei suoi confronti, se ciò risponde al superiore interesse del bambino. Non lo dico io: lo dice già il nostro ordinamento. Lo dicono le convenzioni internazionali. Lo dicono i nostri tribunali.

Che ci dicono ora i tribunali per i minorenni? Va valutato in concreto ciò che può comportare maggior utilità per il minore, nella prospettiva del pieno sviluppo della personalità e della realizzazione di validi rapporti interpersonali.

Così si tutela il supremo interesse del minore, con il riconoscimento di rapporti di genitorialità più compiuti e completi, perché questo assicura la continuità affettiva con il genitore “sociale”, ovvero con chi già si prende cura stabilmente del bambino, e si garantisce che il genitore “sociale” non verrà meno agli obblighi di assistenza e alle proprie responsabilità, anche patrimoniali, nei confronti del bambino.

Mi si dice che questi bambini sono già tutelati. Ma, se Giulio si facesse male e la madre legale fosse lontana, chi potrebbe prendere le decisioni per le sue cure mediche? Non l’altra “mamma”. Così come non potrebbe iscriverlo a scuola, parlare con gli insegnanti, portarlo al calcio, accompagnarlo in auto. L’altra “mamma” – senza estensione della responsabilità genitoriale – non avrebbe alcun potere, e nemmeno responsabilità o diritti nei confronti di Giulio.

E se il papà di Teresa dovesse ammalarsi o, ahimè, morire? Certo, l’altro papà potrebbe chiedere di occuparsene, ma nel frattempo che accadrebbe di Teresa? Allontanata dagli affetti, dalla sua casa, dalla sua stabilità, dovrebbe sperare nella benignità dei parenti del padre legale (se ci sono) e nell’intelligenza e lungimiranza dei giudici del tribunale dei minorenni, che per fortuna ci sono. Non devono essere eletti i giudici e non hanno piazze cui rispondere o voti da conquistare; devono fare solo ciò che è il superiore interesse del minore.

Ho sentito tanti slogan in questi giorni. Ne aggiungo uno io: «I bambini non si toccano, da chiunque siano generati. I bambini si proteggono, chiunque sia il loro genitore. I bambini sono tutti uguali, chiunque sia chi li ha messi al mondo». (Applausi dal Gruppo PD e del senatori De Cristofaro e Repetti. Congratulazioni).


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