Signora Presidente, se la società è una rete di relazioni e convivenze che impongono di essere regolate, nelle loro diverse espressioni, superando anche barricate ideologiche e argini di tradizioni rassicuranti, allora il disegno di legge che ci apprestiamo a votare consente di aggiungere un tassello a tale puzzle, ed è indubbio che in nessun altro campo del diritto civile, come in quello del diritto di famiglia, si avvertono forti le dinamiche conflittuali della realtà sociale sottostante.

In questo quadro, con il disegno di legge in discussione si propone di dare riconoscimento giuridico ad unioni civili tra persone dello stesso sesso, alla convivenza di fatto, nonché ai contratti di convivenza, ovvero si propone di disciplinare realtà che già agiscono come elementi di relazione umana cui ancora non abbiamo saputo garantire un’adeguata copertura giuridica in termini di diritti e doveri reciproci.

Il dibattito sull’introduzione di una disciplina in materia di unioni civili e di coppie di fatto va inserito senza dubbio nel più ampio dibattito sull’evoluzione delle aggregazioni familiari, del ruolo della famiglia tradizionale, della sua composizione e della sua funzione che rimane di certo ancora centrale nel complesso reticolo di relazione sociale. Evoluzione, dunque, dalla concezione della famiglia legittima basata sul matrimonio, quasi autoritaria e gerarchica nel rapporto tra uomo e donna, codificata nel 1942, alla Costituzione repubblicana che ci ha consegnato un concetto di famiglia positivo: famiglia come società naturale basata sull’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi sancita dall’articolo 29, sino a forme a composizione mononucleare e sempre più complesse che hanno accompagnato la riforma del diritto di famiglia nel finire degli anni Settanta. Da qui, il cammino verso il riconoscimento dell’unione stabile tra due soggetti legati dal vincolo di affetto e solidarietà, anche omosessuali.

Trasformazioni e nuovi orizzonti che impongono di ripensare le categorie con le quali abbiamo letto l’evoluzione anche più recente dei rapporti affettivi; perché la famiglia, le unioni non sono un fatto solo privato, ma hanno una rilevanza fondamentale pubblica, in quanto sorgenti di diritti e doveri.

Un microcosmo esistenziale, che abbiamo provato a collocare tra famiglia ex articolo 29, e nuova formazione sociale, meritevole di ricevere una disciplina e tutela specifica, ma al di là e al di sopra del semplice riconoscimento dei diritti individuali, oltre, dunque, quella formazione sociale ex articolo 2 della Costituzione; un passo importante che il Parlamento si appresta a compiere per colmare un vuoto che pesa. Infatti, l’invisibilità giuridica ed istituzionale non vuol dire inesistenza di fatto, ma precarietà di tutela, che si tratti di adulti o figli. La non normazione non solo è ignavia, come qualcuno ha già scritto, ma è inutile rispetto ai fenomeni sociologici e antropologici esistenti ed ingiusta perché discriminatoria. Al contrario, il riconoscimento giuridico produce sicurezza e stabilità; la stabilità produce fiducia, benessere e coesione sociale, tra nuovi diritti e nuovi doveri.

Nella stessa Unione europea il quadro relativo alla disciplina sulle convivenze è alquanto variegato: dalla coabitazione registrata della partnership, al matrimonio paritario anche per le coppie omosessuali come nei Paesi Bassi, in Belgio e in Spagna. L’Unione europea ha assunto una posizione chiara in materia dal 1994 e, poi, con la risoluzione del 2003, sollecitando gli Stati membri al riconoscimento delle coppie di fatto, nonché alla disciplina dei diritti degli omosessuali anche in materia di adozione, sino alla condanna esplicita e alla conseguente sanzione del luglio scorso da parte della Corte europea di Strasburgo in merito alla violazione da parte dell’Italia dell’articolo 8 della Convenzione europea per il mancato riconoscimento delle coppie omosessuali.

Quello del Parlamento italiano è stato un percorso articolato, dal primo disegno di legge presentato nel 1986, ai PACS sul modello francese nella XV legislatura. Mentre a livello locale si è tentato di dare un riconoscimento, se non giuridico almeno sociale, alle unioni omosessuali, il Governo Berlusconi impugnava tutti gli statuti delle Regioni favorevoli alle unioni civili. Sono seguite le proposte di DICO e CUS (contratti di unione solidale) nel 2007 e oggi, dopo mesi di lavoro e discussione costruttiva, franca ed aspra in Commissione giustizia, arriviamo al testo coordinato dalla collega Cirinnà, che finalmente tenta di dare risposte politiche e di pari dignità alle unioni omosessuali, a partire proprio dalla comune iscrizione nell’archivio dello stato civile.

Il censimento statistico ISTAT del 2011 ha certificato che un milione di concittadini si dichiarano omosessuali, ma – soprattutto – che oltre il 74 per cento della popolazione italiana intervistata non solo non considera l’omosessualità una minaccia morale o sociale per la famiglia tradizionale, ma ritiene che vi sia ancora una forte discriminazione contro cui lottare nei luoghi di studio e di formazione, nella ricerca del lavoro e nei rapporti sociali. Si aggiunga che quasi quarant’anni di studi su genitori omosessuali e famiglie omogenitoriali attestano come l’orientamento sessuale affettivo di madri e padri non rileva ai fini dello sviluppo psicofisico affettivo dei figli e che la loro crescita è sovrapponibile a quella dei nati in coppie etero quanto a capacità cognitive e relazionali e identità sessuale.

L’esclusione di tali coppie dall’ipotesi di adozione ex articolo 44, lettera b), del figlio del compagno, contestualmente alla legislazione sulle unioni civili o separatamente, rischierebbe di subire una censura da parte delle corti sovranazionali, in quanto illegittima per disparità di trattamento fondata sull’orientamento sessuale. L’istituto della stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner, risale infatti a trent’anni fa e la discussione si sposta pertanto non sulla validità dell’istituto giuridico, ma sul discrimine della coppia etero o omosessuale ai fini dell’estensione della genitorialità. (Applausi dei senatori Albano e Broglia). Stiamo parlando di bambini e figli che esistono e chiedono un diritto alla stabilità di affetto e cura, anche nel caso in cui la coppia debba decidere di non condividere più la convivenza e l’unione. Ciò che andrebbe garantito è, appunto, la continuità di relazione, affetto, solidarietà e cura.

È spettato ai giudici minorili – giudici imparziali – adattare dunque al cambiamento il diritto di famiglia, da Catania a Roma, da Bologna a Torino, spostando in tal modo il confine tra etica e diritto. Oggi si verifica quindi quanto accaduto già negli anni Settanta: la magistratura come anticipatrice della formazione delle leggi per fenomeni sociali che rompono schemi tradizionali (dall’affido alle adozioni, ai cognomi da attribuire ai figli). Infatti, se avere figli non è un diritto, lo è però tutelare i figli nati. Si è quindi di fronte a nuovi diritti da scrivere, meritevoli di una disciplina per i quali il legislatore – dunque noi – non può chiamarsi in disparte.

Non abbiamo sottovalutato i rischi e i risvolti che ne deriveranno, ma non possiamo confondere il diritto di disporre di sé, del proprio corpo, dei propri sentimenti, con comportamenti che si pongono fuori legge e che dalla legge devono continuare ad essere perseguiti, come peraltro già previsto dall’articolo 12 della legge n. 40 del 2004 per la maternità surrogata.

Infatti, battersi per un’uguale considerazione non significa disconoscere le diversità, non significa restringere la sfera di altri diritti, bensì avere la forza di andare oltre la tolleranza di ciò che è altro da sé per inserirlo a pieno titolo in un sistema giuridico di garanzie, in un sistema dove si riconosca il primato delle relazioni, di quelle relazioni umane e affettive che costituiscono il tessuto del vivere insieme, perché il diritto di una donna e un uomo di unirsi in matrimonio non può costituire un limite un divieto per un diritto di altri dello stesso sesso di unirsi in un legame affettivo riconosciuto e perché da sempre è la differenza che spinge l’evoluzione civica e giuridica verso l’ampliamento della sfera di tutela dei diritti. Si tratta di una conquista per tutti e non solo per chi poi quei diritti li eserciterà nel concreto.

Con l’approvazione del testo in discussione finalmente noi legislatori daremo tutela ad un nucleo di diritti e doveri di assistenza e solidarietà anche economica, a situazioni di coppie che vivono ancora oggi con un senso di precarietà e quasi clandestinità la loro relazione. Se anche questa battaglia, signora Presidente, onorevoli colleghi, andrà nella direzione di tante altre battaglie per l’ampliamento della tutela dei diritti individuali e sociali, tra nuove ingegnerie familiari e nuove complessità, allora avremo aggiunto un tassello al progresso, una conquista per un Paese che non si volta indietro, ma si assume la responsabilità piena, verso sfide attuali, per ognuno di noi, nei diversi ruoli, cittadini e legislatori. (Applausi dal Gruppo PD).


Ne Parlano