«Una giornata terribile per tutti noi». Roberta Pinotti, ministro della Difesa, commenta a caldo la notizia della strage di Nizza. Nel pomeriggio ci aveva parlato di sicurezza e cooperazione, delle missioni all`estero e dell`operazione Strade Sicure «che almeno a Roma, secondo i dati del ministero dell`interno, ha portato a una diminuzione della microcriminalità del 30 per cento». E adesso aggiunge, in relazione agli eventi francesi: «Abbiamo 7mila militari sul campo oltre alle forze dell`ordine. Per noi è subito scattato il piano sicurezza con controlli ai confini al massimo livello di allerta». Prima della tragedia e del tentativo di golpe in Turchia si era dichiarata soddisfatta dei risultati ottenuti dall`Italia nell`ultimo vertice Nato a Varsavia, sia per il rafforzamento sul fronte Sud del Mediterraneo, con l`operazione Sea Guardian che sul versante afghano e iracheno.
Ministro, Renzi ha spiegato che il nostro impegno in Afghanistan continuerà anche dopo il 2016. Con quali regole d`ingaggio?
«Ancora oggi si sente una sorta di resistenza su questa missione. Ma io credo che sia solo perché non se ne è
compresa l`evoluzione. In realtà noi oggi in Afghanistan, nell`ambito di una coalizione internazionale, facciamo esattamente quello che facciamo nei Balcani, in Libano, in Iraq e continueremo a farlo. Stiamo addestrando le forze armate e di polizia afghana su richiesta del presidente Ashraf Ghani, che ha chiesto con un appello accorato di non lasciarli soli in questo momento. Il Paese ha fatto enormi progressi, come dimostrano i dati sulla mortalità infantile e sulla scolarità delle ragazze, ma i talebani ci sono ancora e l`Isis cerca di infiltrarsi in quello che è rimasto di Al Qaeda, con il rischio che una zona così ampia e così strategica in un territorio così importante possa tornare a essere una centrale del terrore. Per questo continueremo il nostro impegno di addestramento delle forze afghane. È una zona per noi importante, per la quale ci siamo assunti il compito di seguire il territorio e lo stiamo facendo in modo egregio. Basti pensare che a Herat, dove abbiamo operato più assiduamente, i dati di sviluppo del Paese sono i migliori di tutto l`Afghanistan».
Rafforzeremo la presenza anche in Iraq? E parteciperemo all`offensiva per la riconquista di Mosul?
«Attualmente siamo il secondo Paese come contingente. In autunno arriveremo a circa 1.400 militari, la prima
missione, numericamente parlando, tra quelle attualmente in corso. Non stiamo però agendo in prima linea, ma
stiamo addestrando le forze locali. Sono gli iracheni, con l`esercito e i peshmerga, che hanno il compito di riprendere il controllo del territorio. Ovviamente li stiamo aiutando anche con capacità specifiche, con dotazioni di armi, di giubbotti antiproiettili, di quello che serve per metterli in sicurezza. La scelta è quella che siano loro a combattere per il loro territorio, senza che ci sia l`idea di un`invasione occidentale. È un processo più lungo, ma che può dare risultati più duraturi. Perché in Iraq è stato fatto un primo errore con Saddam Hussein – ricordo che ero e sono contraria a quella guerra – e un secondo, non preoccupandosi del dopo. Finita la fase dei combattimenti e sparpagliato l`esercito iracheno, non ci si è preoccupati di dove sarebbero finiti gli ufficiali di Saddam, la gran parte dei quali oggi costituisce l`intellighenzia dell`Isis».
Un errore fatto anche con la Libia. Siamo presenti in quel Paese?
«Con le debite differenze è stato fatto lo stesso errore. Non ci si è preoccupati del dopo. Noi abbiamo dato la nostra disponibilità a dare una mano, abbiamo un`interlocuzione politica,ma non abbiamo forze armate presenti in Libia. Il Governo di Fayez Serraj ha chiesto aiuto all`Europa per l`addestramento della Guardia costiera e della Marina libica e quindi, visto anche che il comando in mare della missione europea Sofia è italiano, saremo attivi nell`addestramento insieme con gli altri Paesi che parteciperanno. Questo è un passaggio importante per consentire un controllo dei flussi e sgominare gli scafisti. In futuro penso che avremo altre richieste di addestramento per permettere al Governo di consolidarsi. Prima che la situazione a Tripoli degenerasse, stavamo addestrando le forze armate libiche a Cassino, ma la cosa si è fermata. E su richiesta libica, nelle scorse settimane, per ragioni umanitarie nostri aerei hanno trasportato in Italia, all`ospedale militare del Celio, alcuni soldati libici feriti in combattimento».
Una presenza importante di missioni internazionali, ma un personale che si riduce?
«I tagli di bilancio richiedono una organizzazione che sia al massimo dell`efficienza. Con il Libro Bianco, oltre alla riforma legata alle dimensioni numeriche (entro il 2024 saremo scesi da 190 mila a 150 mila unità militari e da 30 a 20 mila civili), stiamo affrontando l`esigenza di rendere le forze armate sempre più moderne e integrate con un`organizzazione condivisa. Un esempio concreto: invece che fare tre centri di manutenzione per Esercito, Marina e Aereonautica, ne fai uno solo. Così come non possiamo permetterci di far invecchiare le nostre forze armate: l`idea è di diminuire il numero di persone che fa di questo un lavoro per tutta la vita e incentivare il fatto che i giovani e le giovani lo facciano per alcuni anni e poi siano aiutati a trovare un inserimento nel mondo del lavoro esterno, avendo acquisito una grande professionalità. Un altro pezzo di riforma riguarda anche il sistema formativo e le nostre scuole. Mi piacerebbe, vista la grande capacità di ricostruzione che abbiamo dimostrato, che l`Italia possa avere una scuola internazionale di “Peace keeping” a cui possono partecipare le forze armate di tutto il mondo».
Dando un ruolo alla cooperazione?
«Certamente. Nelle missioni noi lavoriamo sempre strettamente con la cooperazione internazionale. In questo Governo noi abbiamo anche sempre strategicamente impostato le missioni come un ragionamento Esteri-Difesa. In Iraq, per esempio, abbiamo i nostri militari che addestrano i peshmerga, ma abbiamo la nostra cooperazione che aiuta le ragazze yazide, che devono poter tornare a vivere dopo le tremende esperienze che hanno fatto in mano all`Isis».
C`è però una sproporzione tra il miliardo e 200 milioni di euro destinati alle missioni militari di pace e i 90 milioni per la cooperazione…
«La sproporzione è determinata dal fatto che quando si manda una missione militare è perché la cooperazione
può ancora agire parzialmente. In realtà bisogna vedere il salto importante che ha fatto l`Italia, nella parte cooperazione, quando nei Paesi c`è stabilità. La cifra è aumentata di oltre il 4o per cento nell`ultimo anno. Noi eravamo i più bassi all`interno dei Paesi del G7 per la quota cooperazione e abbiamo aumentato quella stabile. E l`abbiamo aumentata in quei Paesi dove non c`è bisogno delle missioni militari e dove, anzi, la cooperazione dovrebbe cercare di prevenire il fatto che si creino crisi che poi necessitano di un intervento militare».
Contribuiamo alla ricostruzione, ma continuiamo a esportare armi. Gli ultimi caccia sono transitati dal territorio italiano verso i sauditi che combattono in Yemen. Come lo spiega?
«Chi si occupa di autorizzazione all`esportazione è il ministero degli Esteri, non quello della Difesa. Le regole le detta la legge 185, tra le più rigorose al mondo. E tutti gli anni viene presentata al Parlamento dalla Presidenza del Consiglio una relazione che contiene tutte le informazioni che riguardano l`esportazione di sistemi d`arma. Tutto pubblico e trasparente, dunque».


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