Signor Presidente, siamo in un tempo di cambiamenti e i cambiamenti non sono mai facili, trovano facilmente resistenze e producono paure.

Eppure, guardando la cartina geografica dell’Europa e la quantità di Paesi occidentali – ormai siamo quasi solo noi esclusi dalla volontà di garantire, di tutelare le coppie omosessuali – non avrei mai immaginato che si scatenasse un tale putiferio, dando sfogo a posizioni arretrate e omofobe, come lo è – non vi è dubbio – l’esposizione di cartelli alla manifestazione del Family Day con la scritta «sbagliato è sbagliato». Si è trattato di un vero atto d’accusa discriminante verso le coppie omosessuali. Difficile pensare che una cosa sbagliata in sé possa essere legittimata e, dunque, qual è la risposta? Esclusione? Discriminazione?

Siamo in aperto contrasto con due articoli della Costituzione e devo dire che ho visto con piacere che anche una parte del clero, oltre che molta parte dei cattolici, abbia ritenuto questa una vera offesa all’umanità. Gli articoli 2 e 3 della Costituzione – come abbiamo ricordato più volte nel corso di questi giorni – parlano di pari diritti civili individuali e sociali, così come della garanzia che tutti i cittadini abbiano pari dignità sociale senza distinzione – lo ripeto, senza distinzione – di religione, razza e sesso, nonché che è compito della Repubblica rimuovere ostacoli di ordine sociale che impediscano le vere uguaglianze e le vere libertà.

L’esperienza diretta mi ha portato nel tempo da una posizione di dubbio preconcetto nei confronti delle coppie gay a una di grande comprensione, di serena convinzione che risulti necessario convenire dal punto di visto legislativo sull’esistenza del matrimonio egualitario per le coppie omosessuali, compreso il diritto ad adottare, previa semplice e sistemica verifica dei requisiti, così come oggi già avviene per le coppie eterosessuali, senza pregiudizi.

In taluni momenti, durante quest’ultimo periodo e anche in quest’Aula, mi è parso si intendesse giocare al gatto e al topo o, per chi lo conosce, mi è tornato in mente il racconto dell’asino, del vecchio e del bambino in cammino verso la città, dove qualunque scelta decide il povero vecchio – mette se stesso o solo il bambino sopra l’asino, si mettono entrambi o lasciano l’asino senza carichi – trova sempre per strada qualcuno che contesta con riprovazione la scelta fatta.

Questo è il caso in esame. Si contesta l’unione civile perché diventa simil-matrimonio, affermando che – secondo il disegno di legge in esame – le coppie di fatto eterosessuali – questo si è sentito – non hanno gli stessi diritti di quelle omosessuali; contemporaneamente, però, si nega la possibilità di offrire con maggiore chiarezza il matrimonio egualitario alle coppie omo, così come esiste per le coppie eterosessuali. Solo così, infatti, si raggiungerebbe la piena parificazione dei diritti di ciascuno, mettendo a disposizione della libera scelta della coppia l’una e l’altra forma giuridica. Evidentemente questa parificazione aborrisce ancora più delle unioni civili. Se ne deduce che nulla vada bene, che nulla possa essere fatto per dare ad una coppia omosessuale che lo desideri la reciproca riconoscibilità in sede civile, garantendone i doveri reciproci e i rispettivi diritti.

Ho ascoltato le motivazioni del no. Si è anche detto che il matrimonio non potrà essere tale, perché è finalizzato alla procreazione, confondendo e mescolando codice civile e dottrina cattolica (quella più retriva, pre-concilio) e perciò negando, con un’accezione davvero fondamentalista, il diritto ad esistere alla luce del sole come coppia se non eterosessuale.

Ho ascoltato anche che non varrebbe il principio per cui c’è coppia laddove c’è amore, perché si è detto che il matrimonio prevede l’impegno reciproco, prima e – si presume – al di sopra del semplice amore. Recita la norma matrimoniale, ricalcata per l’occasione nel disegno di legge sulle unioni civili, che «dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni». Ebbene, secondo questo ragionamento e questa logica di vita a due, in comune, si prevede un doveroso impegno reciproco. Ciò dovrebbe farci cogliere come la forte richiesta proveniente dalle coppie omosessuali di vedersi certificare la propria unione sia cosa buona e giusta, soprattutto per la società, perché il riconoscimento pubblico garantisce i coniugi, l’uno verso l’altro, ma soprattutto determina doveri precisi, presenti, pesanti e circostanziati, determinando un parziale assolvimento delle tutele sociali, previste per il singolo, a favore di una cessione alla coppia, riconosciuta come nucleo della società. In tal modo ne trae un sollievo lo stesso Paese. Non si tratta solo di diritti individuali, dunque, come suggerisce una certa parte della componente cattolica, ma di un trasparente e positivo contratto di diritto-dovere, sociale e civile.

Concludo parlando della stepchild adoption: personalmente trovo necessario che l’adozione, come strumento vero e generoso per dare cura ed affetto ai bambini abbandonati e soli di qualunque parte del mondo, sia l’obiettivo a cui dovremmo tendere. Alla luce del dibattito sulla stepchild adoption, così come si è tenuto all’interno di quest’Aula, mi rendo conto che oggi anche la semplice adozione del figlio del partner, come minimo obbligo morale, venga considerata, da una parte consistente di questa Assemblea, come un eccesso. Si preferisce forse concedere alla magistratura, attraverso sentenze individuali e soggettive, di volta in volta, se debba essere o meno il compagno del genitore biologico non più esistente ad occuparsi del loro figlio? Onestamente, vi chiedo di pensarci: la politica ha il dovere di definire il quadro normativo, disciplinando per tutti un sistema uguale, con trasparenza e obiettività, garantendo una linea di condotta, in cui l’unico elemento di valutazione ulteriore sia quello della capacità di educare e di amare responsabilmente e individualmente. (Applausi dal Gruppo PD).


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