Non è più tempo di memoria, essa attarda il presente e ritarda il futuro, si dice. Ma togliercela significherebbe offrire alla Storia l`alibi di un`innocenza che non ha mai avuto, non ha, ed è bene non abbia neppure domani. Parlo di memoria, non del ricordo che si lascia trovare in qualche diafana foto tenuta in vita dalle vetrinette della credenza. Nell`epoca in cui la velocità sta diventando una continua rincorsa tra l`informazione e la catastrofe occorre costringere la Storia a dar conto, appena possibile, delle nostre drammatiche imprese. Dopo Hiroshima e Nagasaki avevamo teso l`orecchio alle parole dette e ascoltate segretamente, quasi in confessione, dai padri di quella tragedia. Per esempio dal fisico tedesco Albert Einstein: «Tutti i pacifisti devono darsi lo scopo di convincere i popoli che la guerra è il colmo dell`immoralità»; da Niels Bohrn, premio Nobel per la Fisica, che confidò al collega Robert Oppenheimer: «Adesso, quando mi viene un`idea, mi assale anche la tentazione di suicidarmi». E infine dallo scrittore francese George Bernanos: «Ho visto tanti morti nella mia vita, ma più morto di tutti è il ragazzo che io fui». Lo capì in fretta. Ma noi, dopo la tragedia delle ‘Torri gemelle’, abbiamo trascorso quattordici anni senza capire che cosa stava preparandoci la velocità. L`Isis, il Daesh!

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