“Quello ottenuto al Consiglio europeo è un risultato molto positivo”. Non ha dubbi Alessandro Alfieri, capogruppo del Pd in commissione esteri al Senato, che in un’intervista ad Affaritaliani.it analizza la portata dell’accordo, i nuovi equilibri europei e la postura geopolitica dell’Italia con un occhio di riguardo per la possibile convergenza con la Cina.
Alessandro Alfieri, come giudica l’esito del Consiglio europeo?
È un passo avanti molto importante. Solo fino a un mese fa sarebbe stato impensabile riuscire a istituire un fondo garantito dall’Europa nel suo insieme. La proposta di Italia, Francia e Spagna si è affermata e non possiamo che esserne felici. Confermati i 100 miliardi per la cassa integrazione del fondo Sure, i 200 miliardi di linee di credito per le imprese della Bei e i 240 miliardi della linea pandemica, attivabile senza condizionalità. L’Italia ha la possibilità di ottenere prestiti a tassi bassissimi. Se dovessimo ripagare i 37 miliardi di risorse messe a disposizione in 10 anni risparmieremmo 5 miliardi di spesa per interessi rispetto all’emissione di titoli italiani della stessa durata.
Sì al Mes dunque?
Non è più il Mes con le condizionalità che imporrebbero un memorandum of understanding e l’accordo su un piano di riforme. Questo nuovo Mes è un’altra cosa. Valuterà la politica italiana, io dico solo che serve un approccio pragmatico e non ideologico. Bisogna andare a esaminare lo strumento nella sua concretezza. E a me pare che lo strumento sia molto interessante. C’è poi la vera novità, che è quella del recovery fund garantito dal bilancio Ue, che prevede l’emissione di titoli. Non si chiamano bond per non urtare la suscettibilità dei paesi del nord, ma di fatto il risultato prefissato è stato raggiunto.
Restano però dubbi sui tempi.
Sì, ci sono due nodi da sciogliere. Il primo è la velocità con la quale riusciremo a mettere a disposizione le risorse, che entreranno nel bilancio europeo del 2021. Dovremo anticipare i tempi. La Commissione europea ha detto che agirà sul tema entro la prima metà di maggio. Abbiamo bisogno di accelerare sul bilancio pluriennale europeo in modo tale da essere pronti già a giugno con uno strumento fondamentale per ripartire. Anche perché dopo i 25 miliardi messi in campo dall’Italia col primo provvedimento, e gli ulteriori 55 miliardi che metteremo in campo con il provvedimento di fine aprile, in estate e autunno abbiamo bisogno di risorse fresche.
E il secondo nodo?
È quello sulle modalità. Come vengono dati questi soldi alle aree colpite? Noi abbiamo chiesto insieme a Francia e Spagna sussidi a fondo perduto che non andassero a scaricarsi su un debito come il nostro che è già molto pesante. I paesi del nord sono più sulla linea dei prestiti, ma la presidente della Commissione ha già fatto intravedere la possibilità di un compromesso. Una parte sarà a fondo perduto e una parte no. Questo ci permetterà di avere risorse importanti che non si scaricano sul debito ma che permettono di aiutare le famiglie e le imprese. Serve comunque un lavoro costante del governo e dei diplomatici per far mettere in attuazione questi strumenti nel più breve tempo possibile perché i settori più colpiti ne hanno impellente bisogno. Penso in particolare a turismo, manifatturiero e ristorazione.
Quale portata ha questo accordo sugli equilibri diplomatici all’interno dell’Ue? C’è una nuova unità tra Italia, Francia e Spagna?
Sì, c’è un’unità ritrovata con Francia e Spagna, nostri partner storici sul fronte europeista che si richiama ai principi di solidarietà e di mutualizzazione dei padri fondatori. Questo accordo dimostra che lo spirito europeista c’è e funziona quando si lavora insieme e si creano alleanze. L’Ue ha dimostrato di esserci, la stessa Germania si è accorta che era il momento di dare una mano e ha fatto sì che il fondo partisse. Berlino si è resa conto di dover contribuire maggiormente al bilancio Ue in una fase come questa, perché paesi come Italia e Spagna sono fondamentali per l’Europa e per la sua economia.
In Italia, però, l’opposizione è ancora su posizioni euroscettiche. E i vostri partner di governo del M5s sembrano voler proseguire l’avvicinamento alla Cina. Posizioni sbagliate?
Chi continua a sminuire il ruolo dell’Europa dovrebbe riflettere sul risultato ottenuto al Consiglio. Chi invece prova a guardare altrove, cercando nuovi riferimenti in politica estera non dovrebbe dimenticarsi che i nostri punti cardinali per garantire la stabilità e il progresso sono l’integrazione europea e l’alleanza atlantica. Posizionamento che si basa anche su principi e valori democratici condivisi. Pensare di costruire, all’interno dell’emergenza Covid, nuove prospettive geopolitiche guardando a Cina e Russia è un grave errore. Bisogna stare attenti.
Crede che l’avvicinamento a Russia e soprattutto Cina, se è davvero in corso, risponda a una strategia in materia di politica estera oppure sia un fatto contingente?
Io ho l’impressione che ci sia molta superficialità. Non credo ci sia un disegno alternativo sulle alleanza, piuttosto una sottovalutazione e magari una volontà di accrescimento della propria posizione personale. Per esempio, sugli aiuti ci sono state tante dichiarazioni che, amplificate dai media, influiscono sull’opinione pubblica. Si comincia a introiettare l’idea che sia meglio affidarsi ad altri partner per la sicurezza del nostro paese e per l’approvvigionamento degli aiuti. Ma in realtà la maggior parte degli aiuti continua ad arrivare dai partner tradizionali.
L’Europa troverà una posizione comune sui rapporti con Pechino?
Ce ne sarebbe bisogno. Questo era il tema che si era posto ai tempi in cui si discuteva l’adesione italiana alla Belt and Road. Progetto sul quale ha insistito non solo il M5s ma, è bene ricordarlo, anche la Lega con l’ex sottosegretario al Mise Michele Geraci. Il fatto che serva una strategia complessiva dell’Ue non significa che i singoli paesi non possano o non debbano concludere accordi commerciali con la Cina. Ma aderire alla Belt and Road, che è evidentemente un progetto non solo economico ma anche geopolitico, è una cosa diversa. È legittimo, da parte di Pechino, portare avanti questo progetto: il punto è che gli altri paesi dovrebbero relazionarsi con piena consapevolezza. E non mi pare che sia sempre così.
L’adesione alla Belt and Road del governo precedente ha influito sulle scelte in politica estera dell’attuale esecutivo di cui il Pd fa parte?
Sulle scelte di fondo per ora no. Abbiamo però già visto in altri paesi che la prima leva degli investimenti infrastrutturali è un preludio a un approfondimento del legame politico. È poi evidente che una certa enfatizzazione dei rapporti con Pechino ha portato una percezione della Cina diversa dell’opinione pubblica, come dimostrano alcuni recenti sondaggi. A questo contribuisce anche il battage anti Ue di Lega e Fratelli d’Italia. A me interessa segnalare la possibile sottovalutazione dei rischi che tutto ciò comporta.
Crede che il M5s stia utilizzando la Cina per recuperare la linea euroscettica?
Sì, in parte credo derivi proprio da quello. Il problema è che attaccando l’Ue e delegittimando le appartenenze storiche del nostro paese si aprono dei vuoti che vanno colmati. E i nuovi riferimenti chi possono essere? Questi paesi potrebbero vedere proprio nell’Italia il ventre molle in cui farsi spazio all’interno dell’Europa.
Ritiene che questo possa creare qualche problema sul tema del Mes?
Probabilmente sì, ma come dicevo prima sono fiducioso sul fatto che tutte le parti politiche riescano a portare avanti un confronto basato su un approccio pragmatico e non ideologico, facendosi condizionare dal retaggio antieuropeista. Anche perché, come spiegavo prima, siamo di fronte a uno strumento completamente nuovo, non è il Mes per come lo conoscevamo fino a ora. Se poi parte il recovery fund con sussidi a fondo perduto saremo tutti felici e contenti.
La pandemia può cambiare gli equilibri geopolitici e il posizionamento europeo e italiano?
Il rischio esiste. Una crisi di questo genere impatta sul tessuto produttivo e ha un risvolto psicologico. Siamo esposti al racconto, alla narrazione che ne fanno i media e i social. Abbiamo bisogno che i nostri partner storici diano risposte importanti. L’Europa lo sta facendo, per quanto riguarda gli Stati Uniti io distinguo sempre fra Donald Trump e il deep state. C’è un’amministrazione che è consapevole dell’importanza di avere un’Europa unita e che mantiene un rapporto con noi. Sono arrivati aiuti sotto forma di materiali e medici. Ed esiste un rapporto molto forte tra il ministero della Difesa statunitense e quello italiano, con Lorenzo Guerini. Poi, certo, il tentativo già pre Covid di Trump di ritirarsi su posizioni più isolazioniste ha di fatto lasciato campo libero nel Mediterraneo e nel vicino Oriente, favorendo l’affermarsi di nuovi attori come Russia e Turchia. E allo stesso tempo ha favorito la penetrazione commerciale della Cina. Occorre che i paesi europei e le democrazie liberali mandino segnali forti ribadendo un’unità che oggi è diventata ancor più necessaria.


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