Ricorre domani la Giornata internazionale contro le Mutilazioni genitali femminili (MGF), una pratica pericolosissima, umiliante e dolorosa in tutte le sue varianti, diffusa in gran parte di Africa e Medio Oriente ma anche in Asia, America Latina, Europa. La ricorrenza, istituita nel 2003 dalle Nazioni Unite, è un’occasione in più per riflettere su quanto sia importante abbandonare tutte quelle pratiche, tradizioni e costumi che mortificano la salute psicologica e fisica di milioni di donne e di ragazze, negando loro la possibilità di vivere il proprio corpo e la propria sessualità in modo libero e consapevole.
Una battaglia che l’Europa ha scoperto in tempi relativamente recenti. È stata infatti la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il primo trattato a riconoscere l’esistenza delle MGF in Europa e la necessità di affrontare il fenomeno con un approccio coerente, innovativo, sistematico. Nel 2012, è bene ricordarlo, l’assemblea generale dell’Onu ha adottato la risoluzione di messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili perché queste sono una grave violazione dei diritti umani che coinvolge donne e bambine di tutto il mondo, e visto che ad oggi esistono validi strumenti normativi di contrasto, prevenzione e punizione, a cominciare appunto dalla Convenzione di Istanbul, sottoscritta dall’Italia nel 2012 e ratificata all’inizio di questa legislatura, è un dovere di tutte le istituzioni intervenire, con serie scelte politiche, sulla cultura sessista che alimenta le violenze e le discriminazioni di genere.
Le ultime stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ci parlano di oltre 100 milioni di donne e ragazze che nel mondo hanno subìto la pratica delle mutilazioni genitali femminili e di circa 3 milioni tra coloro che ogni anno sono a rischio. Non meno gravi le stime Unicef che due anni fa riportavano oltre 125 milioni di ragazze e donne nel mondo sottoposte a interventi di mutilazione genitale in 29 paesi, di cui 27 si trovano in Africa.
Ma i primi importanti risultati non mancano. In Nigeria, dove il fenomeno colpisce il 27% delle donne, è diventato da poco effettivo il divieto di mutilazioni genitali femminili, e il presidente del Gambia, dove il fenomeno riguarda il 76% della popolazione femminile, ne ha annunciato recentemente la prossima messa al bando; sono diciotto i paesi africani che hanno dichiarato fuorilegge questa orribile pratica. L’Europa è in prima linea in questo cambiamento, lo è a livello politico ma anche nel monitoraggio, grazie al lavoro dell’EIGE, l’Istituto europeo per l’eguaglianza di genere. La sfida è evidentemente da giocare sul piano culturale: cambiare la cultura che produce logiche di dominio e di violazione dei diritti delle donne è un obiettivo realizzabile, per questo dobbiamo rinnovare ogni giorno il nostro impegno, tutte e tutti.
Da parte delle istituzioni serve un grande lavoro per agire sull’informazione e sull’educazione, ma anche per poter monitorare l’attuazione di quelle politiche per l’empowerment delle donne senza le quali sarà impossibile realizzare una completa risposta nei confronti del fenomeno. Un pezzo di questo lavoro passa anche per la promozione di quelle tante buone pratiche che esistono nel nostro Paese, e per questo sono stata lieta di accogliere in Senato, due giorni fa, con una conferenza stampa, la presentazione della campagna “Stop violenza sulle donne/Stop MGF. Progetto ExEx – Castitatis Cingulum”, realizzata da Nosotras Onlus in collaborazione con il team Castitatis Cingulum. Un progetto innovativo con cui questa associazione di donne italiane e migranti, attiva da tempo a Firenze e in altre città della Toscana, è riuscita a mettere insieme l’impresa italiana ed il sociale, il Made in Italy e l’impegno contro ogni forma di violenza sulle donne e in particolare contro le mutilazioni genitali femminili. In questo progetto, un anello o un ciondolo, che nella forma ricorda la cintura di castità, da sempre, nell’immaginario collettivo, un simbolo di violenza, costrizione e sottomissione della donna, viene presentato in antitesi, stravolto nell’uso e nel significato, come mezzo di un messaggio forte racchiuso nelle parole scolpite all’interno del gioiello: “È solo per amore”.
È anche per progetti come questi che passa l’impegno di tutti in questa grande sfida. Le istituzioni, le imprese, la società civile, stanno mettendo insieme competenze e conoscenze molteplici dando vita a nuovi modi di coinvolgere e comunicare, e questo è importante specialmente per condividere questa battaglia di civiltà con le nuove generazioni e nei contesti multiculturali.


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