“Noi misureremo la nostra forza dopo le elezioni e la scelta del presidente incaricato spetterà al capo dello Stato: abbiamo più personalità in grado di assumere questo incarico e Gentiloni è una di queste, perché ha dato ottima prova, ha traghettato il Paese verso la crescita, senza fibrillazioni, con equilibrio e serietà». Il ministro per i rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro non ha scelto la sovraesposizione come cifra distintiva di questo suo anno al governo. E se non lesina parole di stima verso il premier, non è certo per schierarsi nella querelle che divide il Pd: tra chi è convinto che Renzi farebbe meglio a investire Gentiloni della leadership e chi no. «Quelle sono questioni di scenario», sbuffa. Facendo capire che a stargli più a cuore in questa fase sono le sorti della sinistra nel suo insieme.
Dopo un anno vissuto pericolosamente, qual è il suo maggiore rammarico?
«Diciamo che viene compensato da tutto quello che siamo riusciti a realizzare. Mi spiace non aver fatto di più per il Mezzogiorno e per l’occupazione giovanile: due temi su cui abbiamo lavorato molto, con sgravi per le nuove assunzioni e misure per il Sud. Ma se avessimo avuto una prospettiva più lunga avremmo potuto fare di più. L’altro mio cruccio è lo lus soli».
Proverete ad approvarlo senza fiducia?
«Con più di 50 mila emendamenti sarebbe impossibile».
E se non ce la farete a portarlo in Aula prima di Natale, dopo aver approvato la legge di bilancio, perché non provate a votarlo più avanti, facendo terminare la legislatura alla sua scadenza naturale il 5 marzo?
«Perché le condizioni politiche per andare avanti non ci sono più. Il rischio sarebbe esporre le istituzioni e il governo a una situazione di difficoltà. Siamo in piena campagna elettorale, la direzione di Ap ci mostra un quadro di ulteriore frammentazione. E la creazione di Liberi e uguali ha privato il governo dell’autosufficienza con cui siamo partiti al Senato. Le condizioni sono troppo difficili per tirare avanti un’esperienza che ha concluso il suo corso. Credo sia saggio votare presto».
Avete fatto cose di sinistra a sufficienza, per dirla alla Moretti?
«Sì, direi che la mia anima di sinistra è stata soddisfatta: misure sulla povertà, per i minori non accompagnati, per il Mezzogiorno, quella sulle pensioni che riguarda i lavori usuranti. Continuando con le leggi sulle unioni civili e sul biotestamento. E abbiamo portato a conclusione norme e riforme importanti avviate dal governo Renzi».
Se il Pd cala nei sondaggi è colpa dell’esecutivo?
«È un effetto politico concreto di una scissione e non lo addebiterei al governo Gentiloni, ma a una difficoltà del campo della sinistra che non tocca solo l’Italia».
Quanto pagherete la concorrenza di Grasso e compagni?
«Pagheremo un prezzo non ancora definibile: le elezioni sono come il budino, lo vedi alle urne se una forza politica riesce a catalizzare consensi. Il problema è cosa succede dopo. C’è bisogno di un grande partito della sinistra. O siamo in grado di muovere grandi masse di elettori e di creare nel Paese uno spirito consistente, oppure rischiamo di essere ininfluenti».
Teme che il Pd possa scendere al 20% e dimezzare i consensi delle europee?
«No, ma credo ci sia molto da lavorare. Ma il punto è creare un fronte riformista forte che sia in grado di governare».
Dunque con i suoi ex compagni bisogna trovare una forma di accordo pre-elettorale?
«Prima o dopo dobbiamo farlo. In un Paese disorientato, che vede crescere la destra e i 5 Stelle, che non sarebbero in grado di governare. Io penso che dobbiamo andare alle elezioni senza lacerarci, per trovare un punto comune di ripartenza dopo il voto. L’idea di considerare avversari Bersani o D’Alema suona sbagliata».
Malgrado il Pd scenda, il premier sale nelle classifiche di popolarità. Perché?
«Perché ha trovato la cifra giusta, in un momento di difficoltà del Paese, per il suo governo, oltre che per il suo agire personale: misura, equilibrio, serietà, mai aggressivo e mai sopra le righe, competenza e affidabilità. Con questo low profile così rasserenante per un Paese squassato».
Un’ultima domanda: posto che il partito concederà la deroga ai tre mandati a tutti i membri del governo, lei si ricandiderà o no?
«No, io finisco qui il mio mandato».
Anche se le chiedessero di sfidare Grasso in Sicilia nello stesso collegio?
«Sarebbe l’ultima cosa che farei. Tutto quello che si muove a sinistra va guardato con attenzione, non con avversità. E bisogna evitare di distruggere il sentimento che dopo il voto può contribuire a ricostruire, col centrosinistra unito, un governo per il Paese».


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