Gentile direttore,
il Congresso delle famiglie organizzato a Verona da associazioni di diversi Paesi, che tante polemiche sta suscitando, invita a interrogarsi di nuovo su un nodo fondamentale del nostro tempo: l’importanza della famiglia e il problema della denatalità. Temo tuttavia che la prospettiva del consesso non sia volta a cercare risposte concrete da fornire all’amore e alla vita per andare incontro alle sofferenze delle famiglie che sono in condizione di maggiore bisogno, per povertà, migrazione, malattia, violenza, marginalità ed esclusione sociale. Così come temo che si affronti da un’ottica inefficace la questione delle culle vuote.
Oggi, nel nostro Paese si fanno sempre meno figli e sempre più tardi (anche sopra i 40 anni). I numeri del crollo delle nascite tracciano un trend sempre più asfittico. I dati Eurostat pubblicati pochi giorni fa mostrano che l’Italia è il Paese europeo che negli ultimi dieci anni ha registrato la flessione maggiore nelle nascite: il tasso di natalità è fermo all’1,31% figli per donna, ultimo tra i principali Paesi europei che pure si collocano da tempo al di sotto di un insufficiente 1,5. In un Paese come il nostro, dove la popolazione è largamente anziana, il crollo delle nascite, unito all’allungamento dell’aspettativa di vita, determina un’allarmante assenza di ricambio generazionale. Il rischio è che a Verona, invece di discutere per trovare delle risposte reali e concrete, si alzino voci tese a sminuire la responsabilità e la dignità delle donne che, secondo le teorie di alcuni degli organizzatori e relatori dovrebbero esclusivamente identificarsi con la funzione riproduttiva. Una tesi questa che dimentica l’enciclica Mulieris Dignitatem o le leggi che prevedono, proprio a partire dalla nostra Costituzione, l’eguaglianza morale giuridica dei coniugi. Le statistiche dimostrano, poi, che il tasso di natalità cresce laddove la donna lavori e abbia una sua autonomia economica, specie se supportata da una forte rete di servizi per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Purtroppo, nel nostro Paese, come in molti altri, non si stanno mettendo in campo azioni che rispondano alla necessità di rimuovere i blocchi normativi e sociali che impediscono di essere famiglia e di creare le condizioni affinchè la genitorialità non sia un percorso a ostacoli. E non è più sufficiente – come dimostra la Francia – puntare su una politica familiare orientata al sostegno economico, fiscale e contributivo, se non si propongono soluzioni davvero all’altezza della sfida progettuale e relazionale che il “mettere al mondo” comporta. La nascita di un figlio è un passaggio decisivo nella vita della coppia che richiede la ridefinizione dei tempi di vita e la ricerca di nuovi equilibri, un impegno affettivo, organizzativo, relazionale che cambia irreversibilmente la vita, soprattutto delle madri. Intervenire per risollevare la denatalità deve poter contare su un insieme di azioni che abbiano la loro cornice di riferimento in politiche familiari e di welfare innovative, capaci di riadattare il sistema sociale a esigenze differenti e complessità crescenti. Agire in questa dimensione è tutt’altro che semplice. Richiede, innanzitutto, uno sforzo culturale e politico importante, difficile ma doveroso. Il Congresso che si terrà a Verona, se davvero volesse sostenere la famiglia dovrebbe iniziare da qui, dall’immaginare politiche di sostegno alla genitorialità non da incomprensibili ripiegamenti. Se lo facesse il dialogo sarebbe possibile, e possibile sarebbe un utile lavoro comune.


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