Il governo comincia a mostrare il suo vero volto. Il cambiamento è solo una parola vuota dietro cui nascondere la più becera conservazione e il desiderio, neppure tanto velato, di tornare a un’epoca che speravamo di esserci lasciati definitivamente alle spalle. Oggi, il premier Giano Bifronte Salvimaio decide di sacrificare sull’altare del consenso ora e subito, il futuro del Paese perché, se come sembra non ci saranno ravvedimenti, il Parlamento si appresta a esaminare una manovra a debito che non prevede nessun investimento su crescita e sviluppo. Una manovra elettorale buona a vincere le elezioni europee ma che, nella migliore delle ipotesi, graverà drammaticamente sulle spalle dei giovani e, nella peggiore, spingerà il Paese verso l’abisso. Per riuscire a mantenere le loro impossibili promesse elettorali, Lega e M5S, non solo chiedono soldi in prestito (nel terzo Paese più indebitato al mondo) per elargire mancette e sussidi a pioggia ma taglieranno anche le detrazioni fiscali, aumentando le tasse.
L’istruzione è il primo settore colpito dai tagli lineari ed è lo stesso ministro Bussetti, con incredibile candore, a spiegarne le ragioni: si tratta, dice, di un risparmio che potrà contribuire a finanziare le altre misure del governo. Tutto chiaro. Scuola e università, esattamente come nell’ultimo governo Berlusconi, saranno un bancomat per foraggiare gli impegni elettorali del governo e che comunque non riusciranno a realizzare come immaginavano: flat tax, reddito di cittadinanza e quota 100. Ci troviamo di fronte alla doppia ingiustizia di una manovra che in futuro farà pesare sulle spalle dei ragazzi di oggi un debito insostenibile e che nel presente non investe ma taglia sui saperi e cioè sui giovani. Del resto, la volontà di attuare questo disegno si riscontra anche nelle nomine fatte al Miur, con Giuseppe Valditara – l’artefice della terrificante riforma Gelmini – che diventa uno dei dirigenti di spicco del ministero. Sono quelli come lui che formeranno il team “Mani di forbice” creato da Di Maio e che “servirà a tagliare tutto quello che è inutile”. Chiaro, no?
Ma non era proprio il M5S a sostenere, già a pagina 1 del suo programma elettorale sull’istruzione, che “dopo anni di battaglie oggi possiamo finalmente realizzare il nostro sogno: dare al Paese un nuovo modello di scuola”? E ancora.
“Per raggiungere questi obiettivi è necessario riportare la scuola statale italiana al centro del sistema Paese, portando la spesa pubblica per l’istruzione alla media europea. Il MoVimento 5 Stelle – si legge – intende invertire la politica dei tagli lineari, assicurando maggiori risorse alla scuola e garantendo, nel medio periodo, uno stanziamento aggiuntivo di 15 miliardi complessivi per il comparto”. Più soldi per tutti insomma. Più assunzioni di docenti e dirigenti. Più innovazione. Più sicurezza. Più classi. Bene, nella prima manovra del governo dello sfascio, non solo non c’è un euro in più per i saperi ma, anzi, ce ne sono in meno. Di Maio, dopo aver abolito la povertà, deciderà di abolire l’istruzione pubblica?
Ma non sono quelli che mantengono le promesse altrimenti saranno i cittadini e non lo spread a mandarli a casa? Purtroppo, la scuola non è un moltiplicatore di voti e, quindi, il vicepremier non ha nessun pudore a rinnegare gli impegni presi.
E così nel Def si colpiscono indiscriminatamente studenti e docenti. 100 milioni in meno per l’alternanza scuola lavoro che altro non è che il tentativo di migliorare il quadro delle competenze trasversali dei ragazzi. Un progetto che serve a dare le prime risposte in un mondo dove il 65% dei bambini che frequenta la scuola farà un mestiere che oggi non esiste. In un paese dove la disoccupazione giovanile è sopra la media europea, dove la scuola fino ad oggi non solo non è stata messa nelle condizioni di offrire un valido sistema di orientamento ma non è mai stata capace di interagire con il mondo del lavoro, come si può cancellare questo investimento? L’alternanza è un diritto dei nostri studenti e sarebbe fondamentale continuare a costruire una relazione tra saperi e loro applicazioni, tra competenze e loro espressione sociale, come questione chiave del rinnovamento del modello educativo italiano. Non certo passarci sopra con la ruspa.
Curioso che ad avallare questa operazione sia un Ministro che, da provveditore a Milano, definiva l’alternanza un’ “ottima legge”. Ma non basta, si prevedono ulteriori 35 milioni di euro di tagli destinati alle attività didattiche delle scuola. Hanno cominciato a smontare l’Invalsi che è il sistema di certificazione con cui le scuole possono migliorare i propri risultati. Non è previsto un euro per il nuovo contratto della scuola, quello che il Pd ha sbloccato e rinnovato dopo 9 anni. In una manovra da 40 miliardi non hanno trovato un euro per garantire il potere di acquisto delle retribuzioni dei docenti rispetto all’inflazione. Per di più, hanno scritto che i redditi da lavoro dipendente della pubblica amministrazione si ridurranno dello 0.4%. Non salvaguardano gli stipendi. Ma del resto, cosa potremmo aspettarci da chi sta per mandare all’aria i conti del Paese e i risparmi degli italiani?
E’del tutto evidente che non sono interessati a progettare scuola del futuro.
I governi Renzi e Gentiloni hanno investito più di 14 miliardi sull’istruzione perché erano convinti che il futuro del Paese passasse dalla valorizzazione del sapere e della conoscenza, dalla sicurezza degli edifici scolastici e dall’innovazione della didattica. Solo così si può garantire un domani sostenibile. Oggi, chi per cinque anni si è riempito la bocca di promesse, sacrifica il futuro del Paese, in una campagna elettorale permanente. E si macchia della colpa più grande per chi governa: privare le nuove generazioni di opportunità per il futuro. Tra vent’anni Di Maio e Salvini saranno solo un brutto ricordo ma i libri di storia, che saranno costretti a ricordarli tristemente, ne parleranno come di quelli che hanno svenduto il futuro dei giovani per un voto in più.


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