Il Consiglio europeo del 23 aprile segna un successo della strategia politica italiana ed è bene dirlo subito: non era cosa scontata. Non era scontato il vertice dei Capi di Governo approvasse il piano di ricostruzione e lo considerasse ‘necessario ed urgente’, sacramentando gli aggettivi proposti dalla nostra delegazione. Il governo italiano ha condotto in Europa una negoziazione limpida su due elementi essenziali: dotarsi di una potenza di fuoco rilevante per affrontare la drammaticità della fase e farlo per il tramite di strumenti che non aggravassero in modo insostenibile il nostro debito pubblico.
E questi obiettivi sono stati perseguiti, contribuendo a un fronte ampio di Paesi capace di rappresentare per numero di abitanti e per Pil, la coalizione maggioritaria dei Paesi dell’area Euro. Non dunque un fronte mediterraneo, come a volte si tende a derubricarlo, ma la maggiore parte dell’economia e della popolazione europea. E in questo fronte, ancora meno scontato è stato il ruolo decisivo di Macron e della Francia, ma ci torneremo.
Dunque un risultato politico, nel quadro di una complessa coabitazione in Europa, in cui i Paesi già protagonisti delle politiche del rigore scoraggiano forme di mutualizzazione del debito e a volte sembrano fare il paio con i sovranisti nostrani. In fondo, perché il grido ‘Prima l’Italia’ non dovrebbe trovare in quello di ‘Prima l’Olanda’ il suo parente più prossimo? Come abbiamo avuto modo di dire a caldo però, la vera battaglia inizia ora.
Il sei maggio, quando la Presidente della Commissione Van der Layen, a cui è stato affidato l’onere di tradurre concretamente l’impegno del Recovery Fund, presenterà il piano e la sua fisionomia, capiremo se l’Europa vorrà davvero dare linfa sufficiente alla sua fase due, quella della ricostruzione dopo l’emergenza sanitaria. Questi dieci giorni sono preziosi. La Commissione avrà di fronte a sé cinque grandi questioni: l’ordine di grandezza del Fondo, la natura della ‘garanzia’, l’equilibrio tra sussidi e prestiti, i tempi di utilizzo concreto dello strumento, i settori prioritari di intervento.
Una dimensione ragionevole è considerata dai più una mole intorno ai 1.500 miliardi di euro di obbligazioni immesse dalla Commissione sul mercato con la garanzia del bilancio 2021-2027 e l’annuncio di un sostanziale raddoppio del budget dell’Unione va in questa direzione.
Ma qui si aprono altri problemi. Se si ritiene, come appare logico per mobilitare speditamente risorse per la ricostruzione, che non si possa attendere il principio del prossimo anno, quando naturalmente sarebbero esperite le procedure di definizione del nuovo sestennio da parte di Parlamento Consiglio Commissione, bisognerà escogitare una soluzione ponte che consenta un anticipo consistente di risorse. Questo significa che si dovrà immaginare per l’intanto una garanzia degli Stati membri. E a questa garanzia oggi e dopo, corrisponde una responsabilità solidale, ‘joint’, collettiva da parte degli Stati o invece ‘several’, cioè a ciascuno Stato per la sola parte di debito assegnata?
E il raddoppio del bilancio europeo può ancora davvero immaginarsi esclusivamente o quasi legata al raddoppio della quota pro Pil di ciascuno Stato o finalmente è l’occasione per definire risorse proprie attraverso un principio di azione fiscale dell’Unione? E ancora, la grande fondamentale sfida della natura degli stanziamenti che saranno stabiliti. Mentre alcuni paesi, Olanda e Austria, ritengono debba trattarsi di soli presiti, persino nella coalizione del nord, Danimarca e Svezia aprono a una quota rilevante di erogazioni a fondo perduto su programmi di ripresa del sistema economico.
Su questo fronte, l’abile Merkel sembra propendere per una soluzione salomonica, di pari rapporto prestiti stanziamenti e la Francia ancora una volta, certo anche per la crisi interna politica ed economica molto più profonda di ciò che appare, dichiara favorevolmente che ‘sarebbe controproduttivo per l’Europa appesantire i debiti italiano e spagnolo’ in una fase così drammatica.
Dunque tanto, quasi tutto, da costruire e la fisionomia che ne verrà fuori potrà davvero dirci se il successo politico del 23 non sia stato come una vittoria di Pirro. Gli spazi per lavorare di cesello ci sono tutti. Quello che è certo è che servono presto risorse rilevanti che ridiano fiato al turismo, ai trasporti, all’agricoltura, al manifatturiero ,Cultura istruzione ricerca e digitale e alla straordinaria occasione di riconversione di interi settori della nostra economia alla sostenibilità ambientale. Quest’ultimo è forse il punto più delicato.
Abbiamo una grande occasione di transizione a un’economia neutra dal punto di vista climatico, di trasformazione del sistema dell’agroalimentare, di protezione della biodiversità, di rinnovare persino l’offerta immobiliare rendendola energeticamente efficiente. Ma anche su questo fronte, lo scontro con le tradizioni lobby dei fossili, della plastica e dei trasporti non sarà senza conseguenze e già in queste ore, la crisi da Covid diventa l’alibi per rinviare sine die regolamentazioni e riforme che abbiano centrale la responsabilità intergenerazionale. Saper trovare una sintesi equilibrata, saper coniugare la spinta ideale verso un modello di società e di consumi diversi, con una giusta dose di realpolitik, sarà il lavoro più difficile per le forze progressiste e riformiste.
Dai parlamenti italiano ed europeo devono venire proposte alte all’altezza della fase cui la storia ci ha chiamati.


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