Nel 1919 John Maynard Keynes scrisse un libro dal titolo: ‘Le conseguenze economiche della pace’ con cui polemizzava con i governi di Stati Uniti, Inghilterra e Francia, rei di aver imposto condizioni troppo gravose alla Germania nella Conferenza di Versailles appena conclusa.
L’economista britannico, all’epoca ancora poco noto, aveva partecipato in affiancamento al Cancelliere dello Scacchiere alla conferenza di pace ma, amareggiato per i suoi risultati, abbandonò i lavori in polemica.

Keynes sosteneva che, nonostante le responsabilità tedesche nell’innesco del conflitto mondiale, le potenze vincitrici avrebbero avuto convenienza a condonarne i debiti di guerra e, anzi, soprattutto da parte americana, a predisporre un ‘programma di credito’ per la Germania e l’Europa post bellica. Sappiamo perfettamente come andò e come invece, alla fine del secondo conflitto mondiale, i suoi consigli furono a posteriori seguiti.

Gianbattista Vico narrava dei corsi e dei ricorsi della storia, per quanto questa non si presenti mai esattamente nella stessa veste.
Oggi la Germania ha nelle mani il futuro dell’Unione. Lo scrivo senza enfasi retorica e con assoluto realismo rispetto alla sua leadership e alle responsabilità connesse alla leadership. La Germania, da tempo troppo grande per il vecchio continente, troppo piccola per il mondo, può decidere se farsi baluardo della democrazia e dell’integrazione della comunità europea piuttosto che invece della sua dissoluzione e dell’accelerazione dei prodromi già chiari di deperimento democratico del tessuto europeo{mfimage}.
Più che essere in ballo partite di crediti e debiti, approcci calvinisti o compassionevoli, posizionamenti progressisti o conservatori, in gioco c’è la tenuta democratica del sistema, messo a dura prova da tre elementi e una tentazione.

I tre elementi sono la precarietà sociale che deriverà dalla drammatica crisi economica alle porte, la pervasività degli strumenti di controllo informatico delle masse, l’affermazione nel cuore dell’Europa di una incipiente dittatura come quella di Orban.
La tentazione è costituita dall’esperimento di isolazionismo inglese la cui uscita dall’Unione, per quanto più semplice perché non condizionata dall’appartenenza monetaria, rappresenta comunque la dimostrazione che non è impossibile uscire da un’unione non più adeguata.
Dunque, mi spiego meglio. Se la Germania non si intesterà (e uso volontariamente questo verbo e non quello di subirà) un piano di ripresa economica che abbia per perno una garanzia comune del debito e gli stati maggiormente colpiti saranno lasciati a soluzioni minimali e ingenerose, la disoccupazione e la tenuta sociale in questi stati affronteranno una crisi drammatica che, nella storia dei popoli, in particolare nella storia dei popoli europei, ha sempre trovato sbocchi incompatibili con la democrazia.

E l’Ungheria di questi giorni e il silenzio colpevole dell’Europa potrebbe non essere un caso marginale ma l’antesignana di una involuzione istituzionale che comprometta i fondamentali della democrazia liberale.
E questo pericolo oggi è tanto più grande perché la tecnologia fornisce al potere strumenti potenzialmente così invasivi da poter rappresentare la pandemia oggi il destro per servirsene impropriamente e attaccare non solo la privacy ma la democrazia nella sua essenza di libertà.

Siamo di fronte a un nuovo corso.
In questo nuovo corso, non basterà sospendere qualche anno il fiscal compact ma bisognerà superarlo. Non basterà predisporre sussidi pubblici ma bisognerà riscoprire il ruolo interventista dello Stato nell’economia. Non basterà, semmai si dovessero fare, emettere bond destinati alle spese sanitarie ma servirà un’autorità sanitaria e fiscale europea. E potrei continuare a lungo.

O gli stati guida dell’Unione e la Germania in testa progettano con responsabilità e lungimiranza questo nuovo corso o ne verremo e ne verranno (non si illudano!) schiacciati e la storia segnerà il ritorno ai confini, a un’Europa meramente intergovernativa, a un rischio diffuso di svuotamento degli istituti della democrazia.
È il tempo che la Germania assuma su di sé l’onere della guida, altrimenti la sua storica coazione a ripetere condannerà l’intero continente all’irrilevanza e alla stagnazione.


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