Chi dimentica per un attimo la trattativa estenuante per formare un governo, e volge lo sguardo oltre i confini nazionali, osserva uno scenario desolante a poche migliaia di chilometri da casa. Le immagini arrivate in questi giorni, che mostrano bambini vittime di armi chimiche, hanno smosso i cuori di tutto il mondo. In uno dei suoi ultimi deliri su Twitter, il Presidente Trump, scosso da tanta brutalità, ha reagito promettendo di lanciare nuovi missili sulla Siria. Un disastro. Sette anni dopo il suo inizio, la guerra in Siria è in una situazione più complicata che mai.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani stima che la guerra abbia provocato oltre 350.000 morti, più o meno quanti gli abitanti del comune di Firenze. L’UNHCR calcola che i rifugiati siriani nel mondo siano oltre 5 milioni e mezzo. Un’enormità, circa un quarto della sua popolazione totale prima dell’inizio della guerra. È evidente che la comunità internazionale debba considerare come sua priorità la salvezza di vite umane. È altrettanto chiaro che l’Europa ha un proprio interesse a fare in modo che i siriani possano tornare a vivere in sicurezza nel loro stesso paese. Attualmente oltre tre milioni di rifugiati siriani trovano rifugio in Turchia. L’Unione Europa sa bene, in seguito alla crisi migratoria del 2015, che la riapertura della rotta balcanica potrebbe rappresentare per sé una minaccia esistenziale, per gli attriti politici che essa potrebbe provocare.
Non esiste soluzione alla crisi siriana che non sia politica. Abbiamo già visto troppi bombardamenti lanciati senza pensare alle conseguenze. Nessuna bomba aiuta a costruire una soluzione duratura. Nessuna bomba garantisce una futura coesistenza pacifica e degna fra tutte le parti, compresa la popolazione curda.
L’Unione Europea può giocare un ruolo centrale nella soluzione della crisi. In questo momento è l’unico attore che può riavvicinare gli Stati Uniti e la Russia, che devono tornare a parlarsi seriamente, invece di comunicare a colpi di tweet. L’appuntamento a Bruxelles del 24 e 25 aprile, quando si tiene il secondo vertice sulla crisi siriana, sarà un passaggio fondamentale perché le parti si incontrino sotto l’occhio vigile dei due organizzatori, l’Unione Europea e le Nazioni Unite, e cerchino insieme una via d’uscita alla crisi umanitaria, economica e politica. Bruxelles e Ginevra, sede delle negoziazioni per la pace, sono le uniche sedi più neutre dove è possibile trovare un accordo. È necessario che tutte le parti mostrino però una forte volontà politica.
Bisogna mettere in atto misure diplomatiche forti. Dobbiamo assolutamente impedire che la Siria possa presiedere, come da calendario, la Conferenza del Disarmo delle Nazioni Unite, dal 28 maggio al 24 giugno. Sarebbe un’offesa alle tantissime vittime degli atti atroci del governo di Assad. L’Italia non può accettare un tale affronto alla comunità internazionale.
Non basta però l’indignazione dei diplomatici. Torniamo a svegliare la coscienza dei popoli. Quindici anni fa milioni di persone scesero in piazza per protestare contro la guerra in Iraq. Negli anni sessanta e settanta le proteste di massa contribuirono alla fine della guerra in Vietnam.
Riscopriamo la piazza per provare a fermare l’emergenza in Siria. Creiamo un movimento di pressione globale che dia una risposta forte a oligarchi e dittatori. Che dica basta a tante atrocità.
Se continuiamo a non fare nulla, tutti noi saremo complici.


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