Caro direttore, non so se, come lei ha scritto ieri, il patto tra il Pd, le altre forze del centrosinistra e il movimento di de Magistris, che ha portato alla candidatura di Sandro Ruotolo, può essere considerato il segno di un cedimento del Pd a quella mistura di pauperismo sudista e provincialismo identitario che ha caratterizzato il decennio arancione napoletano. Per il Pd si è posto il tema di riunire le forze leali coi valori della Costituzione per fermare l’ondata di destra anti-liberale e antioccidentale nel nostro Paese. E dunque si è posto il tema di un’alleanza con quelle formazioni, anche di origine populista, che non sono state fagocitate dal sovranismo della destra guidata da Salvini. È un tema che, vale la pena sottolinearlo, non riguarda semplicemente il Pd, ma l’intero arco di forze del centrosinistra, tanto è vero che mentre il Pd ha subito una scissione (anzi, due) proprio sul tema del suo profilo riformista, la stessa Italia Viva ha dovuto convergere a livello nazionale su un’alleanza di governo con il M5S e a livello locale con de Magistris. Dunque non si tratta di opporre alibi a una ipotetica involuzione strisciante del Pd a Napoli, ma di tenere Napoli nel solco di un dibattito nazionale. D’altronde proprio due giganti del riformismo italiano — parlo di Francesco De Martino e Giorgio Napolitano – ci hanno insegnato, da napoletani, che il Sud progredisce soltanto se resta agganciato alle dinamiche italiane e europee. Questo non vuol affatto dire che a Napoli non si ponga il problema contraddittorio che il Pd ha avuto nei confronti di de Magistris, un’esperienza che potremmo considerare paradigmatica di un approccio demagogico alla gestione della cosa pubblica nel Sud: un bilancio dissestato con debiti che ipotecano almeno i prossimi cinque sindaci, società di servizi pubblici fondamentali fallite una dopo l’altra, una macchina organizzativa comunale distrutta, ceti produttivi emarginati e umiliati da un’economia della rendita e dei “lavoretti”. E sia consentito a me ricordare queste cose, dal momento che le ho dette in tempi non sospetti in Consiglio comunale. Certo, il Pd non ha tenuto un comportamento sempre lineare come dimostra la penosa vicenda dell’accordo consociativo alla Città metropolitana che ha coinvolto davvero tutti: dal centro alla destra all’estrema sinistra. Non è questa la sede per discuterne, ma non credo di svelare un segreto se dico che Napoli, per limitarci anche soltanto alla storia repubblicana, è una realtà in cui la cultura e la pratiea del riformismo, pur avendone offerto dei campioni alla politica e alle istituzioni nazionali, ha sempre attecchito con grande difficoltà. Eppure ritengo sia innegabile che il Pd rappresenti oggi l’unico in cui quella cultura vive, può affermarsi, diventare condivisa. Lo dimostra anche il coratgioso annuncio del segretario nazionale Zingaretti della prossima apertura di una fase di vera e propria rifondazione del partito. Questo è motivo per cui ho espresso, e lo ribadisco qui, che iniziative come l’appello promosso da Paolo Macry e Biagio de Giovanni non possono che essere considerate con rispetto e con la massima capacità di ascolto in questa fase. Perché per tornare a essere un partito di massa, di popolo, l’unica strada è ricostruire un’identità forte sui contenuti sulla base di un profilo riformista netto. Per tornare a Napoli, il Pd sarà diventato uno strumento davvero utile per le persone quando, di fronte alla nuova crisi dei rifiuti che la città sta vivendo da mesi, avrà la credibilità di tornare a parlare con i cittadini dicendo con chiarezza che per chiudere definitivamente un’emergenza infinita è indispensabile un ciclo industriale dei rifiuti fondato sugli impianti e su un nuovo patto sociale. Per diventare maggioranza nel governo del paese e a Napoli il Pd deve mantenere salda la rotta sul partito del lavoro e dell’impresa, dello sviluppo e dell’equità, dei diritti e delle responsabilità. Se queste saranno le coordinate, la strada per l’alternativa alle destre e a tutti i populismi sarà tracciata.


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