Sergio Zavoli non ha mai smesso di essere un cronista. Senatore del Pd, conserva uno sguardo che scava nella realtà. Da giornalista raccontò l`Italia della rinascita e la notte della repubblica, indagando anche quel `68 che 50 anni dopo ci interroga ancora.
Senatore, l`Italia di oggi è figlia del `68 o quella rivolta è stata un incidente nella nostra storia?
«Il `68 storico non aveva un progetto rivoltoso, fu un appassionato movimento di protesta che ebbe un`origine studentesca, cui si uniranno le più giovani energie operaie, gli intellettuali, le frange di una borghesia democratica. Poi, con l`indurirsi della protesta, ci fu il fiancheggiamento della sinistra,”per capire di che razza sono”, dicevano gli estremisti, i meno inclini a compromettersi con “la rivoluzione all`università”».
Fu un movimento popolare o intellettuale?
«Il movimento incontrò anche i giornalisti, i sindacalisti, i politici, gli scrittori, i poeti, insomma i pronti a molte cose, ai quali spiegava di voler portare “l`immaginazione al potere” insieme con i figli degli operai, un “mondo già con le rughe” che a vent`anni aspettava di avere il posto del padre».
Slogan lontani anni luce oggi..
«Erano ingenuità, pretese, diritti autentici. Non si aspettava più il “sol dell`avvenire”, preferendo liberarsi dell`ombra con molti rischi, ma per una vita che fosse anche la loro. I valori rivendicati, qualcuno addirittura dissepolto dal lavoro, dalle eguaglianze, dalla salute, dalla famiglia, dallo studio e dall`amore, furono la parte più nobile della protesta invaghita dagli squarci di una spesso discutibile modernità».
Quali sono i lasciti del `68?
«Quella grande ventata poteva lasciare solo una generosa utopia civile a un`Italia che oggi, secondo Cacciari, non ha più borghesia né proletariato, ed è arduo decidere con chi stare e con chi prendersela».
Dopo la crisi economica iniziata nel 2007, non le sembra che questa Italia rimpianga più gli anni del boom che il `68?
«L`Italia, con la crisi, ha imparato che il cambiamento era diventato la sua velocità e che il pericolo, oggi, è la mancata percezione del pericolo. Ciò ha provocato molte incertezze, ma mentre il Paese si prodigava per dare lavoro ai migranti, ha vinto sugli Stati che rialzavano i muri. Solo oggi siamo diventati, nel mondo, quasi degli eroi».
Ma non crede che il ritorno al proporzionale, i consensi per il mite Gentiloni, rievochino i valori di un`Italia democristiana e centrista?
«Al prossimo 4 marzo andremo con molte novità. Forse i partiti sulle prime non se ne gioveranno, ma confidiamo che la politica abbia il vento alle spalle. C`è per ora un buon governo. Paolo Gentiloni è “mite” ma quanto e quando serve. Ci sono poche nascite, e non è un buon segno, ma la colpa è di una cauta paura, la più insidiosa, di chi teme non solo per la tenuta del nostro euro».
Gli anni `60 contenevano le contraddizioni che l`Italia porta ancora dentro di sé?
«Gli anni `60 si fanno ricordare per un benessere al quale si partecipava senza muri e fili spinati; oggi bisogna regolamentare non solo le soluzioni ragionevoli, ma anche l`uso del vocabolario. Per coloro che non affogano, e trovano un lavoro, si è diffuso un verbo ignobile: “lucrare”. Penso allo storico Braudel che in tempi non sospetti scrisse: “Gli africani derelitti dovranno pensare all`Europa e l`Europa di doverli accogliere”».
Una profezia. Gli eventi globali hanno cambiato la politica e l`interesse politico.
«Sta lentamente cambiando la nostra visione anche etica e culturale della politica; è un fenomeno che risale dai recenti scenari di una democrazia più laica, quello di indurre i protagonisti odierni a ridurre le milit2n7e e aprirsi alle convergenze più assimilabili che si dichiarano leali, non pportunistiche ma suggerite da una duttilità che accompagni il corso di una complessa situazione politica».
La società cambiò in meglio nel `68 o assorbì divisioni politiche destinate a trasformarsi in violenza?
«Persino il `68 non rifiutò le aggregazioni, assumendo a suo modo un pensiero politico. In un`intervista che feci a Rostand, il famoso Nobel per la biologia, ateo e liberale, parlando del `68, mi disse: “Io, in quella forma di neo-politica ho visto che c`era un pensiero ma più ancora un amore”».
E lei come visse il `68?
«Con il mio mestiere, alla radio e poi in tv. Nacquero allora le domande dure, rigorose e sempre più esplicite sui versanti delle prime violenze; non di rado per screditare l`idea di dover ridurre gli effetti di un dramma insopportabile».
Le domande del `68 sono ancora attuali?
«Lo storico Biagio De Giovanni ha detto che le nostre cronache della violenza sono, sempre di più, la nostra Storia. Credo volesse dirci: quel che serve è farsi servi l`uno dell`altro, ma come? Intanto ritrovando la relazione, il dialogo, la verità e la fermezza. Ma dove abitano le parole della pace con cui si misurano le distanze che i missili atomici riuscirebbero a superare per raggiungere i nuovi bersagli?»
I social, le fake news, hanno inquinato la generazione millennio!? O è colpa di una politica poco credibile?
«Mi insegue l`idea che gran parte della gioventù spenda le sue passioni nella tecnologia, e che la scuola, così andando le cose, finisca per doversi sottoporre a una pedagogia che tende a indebolire ben altri strumenti della conoscenza. A cominciare dal “pensiero”».
Le ideologie hanno la responsabilità del paese che abbiamo davanti?
«Il rigore dell`ideologia richiama un bisogno di pluralismo, cioè di confronti, di scelte. Quindi di un bene comune. La gelosia identitaria deve cedere ai criteri delle varie culture, alle distanze religiose provvede l`ecumenismo, in quelle civili sta prevalendo il principio secondo cui tutto ciò che è possibile non è sempre, anche lecito».
Il referendum del dicembre 2016 è il fallimento di una rivoluzione?
«Quel referendum rinfocolò la disputa nata in un lembo della sinistra e in una parte del Paese ha creato una specie di conversione silenziosa rinunciando a votare per come si annunciava la divisione all`interno del Pd e la scissione che ne sarebbe scaturita».
Andrà a votare il 4 marzo?
«Andrò certamente a votare per non sottrarmi a un valore nel quale occorre continuare a credere».
Ha fiducia nel Pd?
«Il Pd è il mio partito. Per tutti potrebbe bastare ripetere ogni tanto quella parola breve, benefica, innocente: pace. Il poeta Mario Luzi aveva detto: “Vola alta, parola, cresci in profondità, sii luce. Non una disabitata trasparenza”».


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