I fatti risalgono alle undici di sabato 3 febbraio. Luca Traini, ventinovenne di Macerata simpatizzante della Lega e dei neofascisti di Terza posizione, spara e ferisce sei neri a caso, in quanto neri. Vuole difendere la «razza bianca» e vendicare, a campione, la morte di Pamela Mastropietro, per la cui uccisione si sospetta un nigeriano. Con gli sfortunati appena portati in ospedale Salvini emette il suo commento. Premette che «chiunque spari è un delinquente», per lasciare subito spazio all`avversativa (a questo proposito Jon Snow, tra i protagonisti di Game of Thrones, cesella una grande verità: «Ritto ciò che viene prima di un ma sono stronzate»), «ma è chiaro ed evidente che un`immigrazione fuori controllo, un`invasione come quella organizzata, voluta e finanziata in questi anni, porta allo scontro sociale». Ce l`ha col Pd. Il cui segretario Matteo Renzi ribatte con un tweet insolitamente tiepido: «Abbassiamo i toni». Peggio fa il candidato premier dei Cinque stelle che in ben meno di 280 caratteri annuncia la linea del movimento: «Restiamo in silenzio». Passano 24 ore e, con l`eccezione obbligatoria del ministro Minniti, nessun politico di grosso calibro si presenta nel centro marchigiano. Ne passano 48 e ancora niente. Il silenzio, soprattutto nelle file della sinistra, si fa sempre più assordante. Settantadue ore e la porta di Macerata è inviolata da qualsiasi significativo esponente nazionale della sinistra. Liberi e Uguali manda finalmente Beatrice Brignone. A quel punto il Pd, che a quanto pare equipara l`immigrazione alla kryptonite, invia un esponente della sua minoranza, il ministro Andrea Orlando (siamo ormai nelle 96 ore). È normale o è molto deludente una sinistra così cauta con un tema così centrale? L`abbiamo chiesto a Luigi Manconi, senatore in scadenza (non è stato ricandidato e come risarcimento sarà presidente dell`Unar, l`ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), sociologo con una lunga militanza dalla parte di chi ha meno diritti, dai carcerati agli immigrati, nonché studioso del razzismo. Hombre vertical della cui perspicacia una sensata compagine di sinistra avrebbe fatto meglio a non privarsi.
Com`è possibile che i suoi compagni di partito abbiano aspettato così tanto per dire così poco?
«All`origine c`è una catastrofe culturale. A questo credo fermamente, non al fascismo strisciante, perché il numero di razzisti e fascisti, ancorché in crescita, costituisce tuttora una minoranza irrilevante. La catastrofe invece ha una storia lunga 25 anni, da quando l`immigrazione è diventata un fenomeno significativo anche in Italia. Nel `90, con Laura Balbo, già scrivevamo degli “imprenditori politici della paura” e dei “razzismi possibili”. Che oggi si sono trasformati in razzismi reali. Già allora sentivamo dire “non sono razzista ma…”, eppure quella frase oggi ha assunto una tonalità ancora più drammatica e sembra corrispondere a una domanda di soccorso: “Aiutatemi a non diventare razzista”».
Termine, peraltro, che lei usa con moderazione: perché?
«Perché il vero problema è la xenofobia, che non è sinonimo di razzismo e che significa esattamente ciò che indica l`etimologia: paura dello straniero. Una pulsione profonda della psiche che accompagna da sempre la storia dell`umanità. Che non è razzismo, anche se può diventarlo, ma non è fatale che così accada. Sta a noi, sta alla politica, evitarlo».
Temo che non ci siate riusciti troppo bene, o sbaglio?
«Non sbaglia, e torniamo alla catastrofe culturale. La sinistra ha risposto con la retorica della solidarietà e l`ideologia del multiculturalismo, con un racconto che ha ignorato la ruvida e dolente realtà delle faticose relazioni tra residenti e immigrati. Di fronte alle sofferenze degli strati più deboli ha saputo offrire solo slogan: fraternità predicata dai privilegiati ai non privilegiati perché accogliessero gli ultimi fra gli ultimi».
Tornando a Macerata, cosa doveva fare un grande partito di sinistra?
«Esistono pochi principi, due o tre, su cui non si può mai transigere. Se qualcuno spara su altri esseri umani per difendere la razza bianca una forza di sinistra lo affronta a viso aperto, senza mezzi termini e senza alcuna mediazione. Ci costruisce sopra un pezzo della campagna elettorale e porta tutto il partito in quella città. E dice che Matteo Salvini è il mandante morale: è una pura e semplice constatazione. Eppure l`ha detto solo Roberto Savia no. Io dico mandante morale perché questa formula definisce esattamente l`operato di Salvini. Non una responsabilità penale, concreta, operativa, bensì il ruolo altrettanto irresponsabile di seminatore d`odio».
Lei dice: no slogan, non basta predicarela solidarietà. Cosa serve, in pratica?
«Serve una politica che si basi su due pilastri: economia e demografia. Dunque serve ricordare, per esempio, che la percentuale degli over 65 sta crescendo a dismisura e che nei prossimi anni ci sarà bisogno di centinaia di migliaia di badanti. Un discorso che è sbagliato considerare strumentale. È piuttosto una questione di coesione sociale: spetterà ai sindacati garantire giusti salari e diritti alle badanti, o a chi raccoglie i pomodori. Ma ricordare che gli italiani hanno bisogno degli stranieri almeno quanto gli stranieri hanno bisogno degli italiani non è cinismo. È realismo. La solidarietà è una virtù meravigliosa, che può albergare nel nostro cuore e motivare le nostre opzioni morali. Ma sul piano pubblico servono solo strategie razionali e intelligenti».
E invece spesso la sinistra sembra o schiacciata nell`angolino del buonismo o, per dirla con il linguista George Lakoff, intrappolata nel frame securitarlo della destra. Mi dica che è un`impressione sbagliata…
«Purtroppo no. L`esempio perfetto sono i campi nomadi. Abbiamo consentito che lo scenario venisse rappresentato con una caricatura dove, da una parte, c`è Salvini con la ruspa e, dall`altra, noi che – per dovere di copione – difendiamo quei campi. Ma quando mai? I campi nomadi sono uno strumento perverso di ghettizzazione e auto-ghettizzazione. E perché il Pd non ha candidato una come Giusi Nicolini, ex sindaco di Lampedusa, e Liberi e uguali non ha garantito un seggio a Pietro Bartolo, il medico della stessa isola? Sono simboli, ma i simboli contano, e molto».
Perché temono di passare per il partito dei migranti, in una stagione in cui il batik non va affatto di moda?
«L`esito della catastrofe culturale è che il Pd realisticamente, forse motivatamente, teme tutto ciò che può danneggiarlo sul piano elettorale. Ma guardiamo fuori dai nostri confini. Perché solo la Merkel ha avuto il coraggio di dire “Ce la faremo” di fronte ai profughi? Per questo ha quasi subìto una scissione interna e ha messo a repentaglio l`esito del voto. Insomma, si può anche perdere, ma non è detto, ed esistono anche sconfitte remunerative dal punto di vista dell`identità e dei valori. Chi non ha il coraggio di correre dei rischi né vince né convince».
Il che ci porta alla triste vicenda dello ius soli. Era davvero così mortalmente pericoloso votarlo?
«La legge era passata alla Camera nell`ottobre del 2015. In due anni non si è trovato il tempo di portarla al voto in Senato. Dunque, ci è arrivata all`ultimo minuto e in condizioni di grande incertezza. Ma, ecco il punto, si è considerato che i possibili voti persi, a causa di quella legge, sarebbero stati compensati probabilmente da altrettanti, se non più, voti conquistati proprio grazie all`approvazione dello ius soli? Se ci fossimo preoccupati a tempo debito di non rinunciare alla competizione a sinistra, sono convinto che avremmo oggi qualche centinaia di migliaia di elettori in più».
Magari quella resa vi ha invece sguarnito sul fianco sinistro…
«Di sicuro. Ma nessuno l`ha preso in considerazione e nessuno ha valutato quanto il Pd abbia perso dal punto di vista della sua fisionomia culturale e politica».
Che servirà alla sinistra per svegliarsi da questo lungo, brutto incantesimo?
«A rischio di ripetermi: la cultura. Leggere i libri. I rapporti dell`Istat e dell`Inps suo presidente Tito Boeri, che conosce a fondo i dati relativi al contributo dato dagli stranieri per pagare le nostre pensioni, è uno dei pochi a spiegare una verità così spesso trascurata). Lui fa il suo mestiere di tecnico, ma siamo noi – è stata la sinistra – la prima a ignorare quei dati e a non farne il cuore del proprio discorso pubblico. Per questo parlo di cultura: perché è indispensabile una vera e propria battaglia culturale, a partire dai dati direaltà. E, come dicevo, da economia e demografia. È mai possibile che Silvio Berlusconi, a distanza di una settimana, prima parli di”476 mila clandestini” e, poi, di”630 mila”? Dove li teneva nascosti quegli oltre 150 mila irregolari? Studiare e raccontare la verità e costruire una rappresentazione la più vicina possibile alla realtà significa esattamente fare una grande azione culturale. Infatti, l`intera dimensione drammatica dell`immigrazione discende da quel circa mezzo milione di irregolari: dove si trovano gli autori di reato e i marginali, i senza fissa dimora e i senza documenti, i non integrati e quanti non si vogliono integrare. Ma in Italia, e da decenni, vivono oltre 5 milioni e 200 mila immigrati regolari che lavorano e realizzano l`8 per cento del nostro Pil, pagano le tasse, mandano i figli a scuola e contribuiscono alla ricchezza nazionale. Di questi, innanzitutto, dobbiamo parlare. Questa è, in primo luogo, l`immigrazione. Così come non dobbiamo respingere un solo profugo e dobbiamo lavorare per un`accoglienza la più ampia e per un`integrazione la più efficace possibile. Guardi, la convivenza è difficile, faticosa, spesso dolorosa, ma non ha alternative. Attrezziamoci».


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